29 agosto 2011

La politica e la libertà di noi scrittori

di Francesco Piccolo
Questa rubrica si intitola “terapia” perché si occupa dei problemi della sinistra, non di quelli degli altri, di cui si occupano tutti con abbondanza e soddisfazione. Del resto, il pensiero dominante e pericoloso è il seguente: fino a quando gli altri saranno peggiori, noi non dobbiamo preoccuparci di essere migliori. Fino a quando ci sarà Berlusconi, sarà agile trascurare le nostre debolezze. Ma appena dopo saranno visibili i molti difetti dell’opposizione, che si è occupata troppo poco di un progetto propositivo, pur avendo avuto molti anni a disposizione per farsi trovare pronta.
Io sono un elettore del Partito Democratico, e mi interessa molto occuparmi di ciò di cui mi sento parte. Non sono contento del partito, come tanti; ma se lo scrivo, questo non piace a chi ha potere. Chi ha potere è permaloso, arrogante, minaccioso. Forse, ai tempi del Partito Comunista, qualche ragione per diventare timorosi poteva esserci, visto che una “scomunica” costava a volte un’emarginazione concreta. Ma adesso, francamente, avere paura del Partito Democratico e della minacciosità di quelli che non amano essere criticati, risulta davvero difficile. Alcuni, come è successo con D’Alema, continuano a ritenere questo giornale organo o proprietà del partito. Hanno molta voglia di dimenticare che non è più così da anni.
Gli scrittori, poi, nella quasi totalità dei casi, sono immuni dalle minacce o dalle rabbie scomposte del potere, per un motivo semplice: sono del tutto disinteressati al potere. E, al contrario del linguaggio dei politici, cercano sempre di esprimere un’opinione sincera, di cercare la verità, anche quando non ci riescono. Altrimenti non avrebbero nemmeno cominciato a scrivere, da ragazzi. Questa libertà non è attaccabile, non è detonabile in alcun modo. E se dovesse finire per esprimersi anche soltanto a casa propria, avrebbe la stessa passione e identiche caratteristiche di onestà intellettuale.
«L'Unità» del 31 luglio 2011

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