29 agosto 2011

Sciopero contro il calcio

di Massimo Gramellini
E se invece dei calciatori scioperassimo noi? Se decidessimo di colpo e tutti insieme di diventare adulti, smettendo di delegare il nostro umore a bande di mercenari con procuratori al seguito? Per me è più facile, ho la squadra del cuore in serie B. Ma è come smettere di fumare: con un po’ di sforzo possono farcela tutti. Il baraccone del calcio si regge su un incantesimo collettivo. Per rivivere le emozioni pure dell’infanzia, il tifoso finge di credere che quei ragazzotti con l’amata divisa indosso siano i suoi avatar. Trasferisce le sue rabbie e le sue speranze a giocatori che non le condividono: perché ignorano la storia del club e perché comunque non gliene importa niente. Sono lì per guadagnare. E per vincere. Ma vincere per se stessi e i propri compagni. Mica per noi. Credetemi, li ho conosciuti da vicino quando facevo il giornalista sportivo: nelle interviste ci incensano, ma in cuor loro ci considerano dei pirla. E hanno ragione.
I calciatori sono una casta che ci sfrutta, esattamente come quell’altra. Il parallelo è impressionante: anche in politica deleghiamo a professionisti prezzolati la realizzazione dei nostri desideri, imprestando loro ansie di cambiamento che essi fingono di sottoscrivere nei comizi, per poi irriderle e svilirle nel chiuso degli spogliatoi (pardon, delle aule parlamentari). Mentre noi con la bava alla bocca ci dividiamo fra destra e sinistra, Inter e Milan, i nostri avatar vanno a cena insieme, badando ai loro interessi comuni. Il rimedio? Una cura choc: stadi vuoti, urne vuote. E’ ora di ritirare le deleghe e di diventare tifosi di noi stessi.
«La Stampa» del 25 agosto 2011

Nessun commento: