06 febbraio 2012

Che noia il Giovane Werther: rifacciamolo in stile Moccia

Eco dopo trent’anni attualizza «Il nome della Rosa» teorizzando la necessità di aggiornare i libri. Un principio devastante...
di Massimiliano Parente
Se passa il principio di Umberto Eco, secondo cui i romanzi vanno aggiornati per metterli al passo con i tempi, gli editori dovranno rimboccarsi le maniche e le collane.
Anzi, io oggi stesso telefono a Antonio Franchini e gli faccio un bel discorsetto, perché è davvero bellissima la nuova grafica della Sis, la collana Scrittori Italiani e Stranieri della Mondadori, ma non basta, adesso urge l’updating di tutti i classici, di tutti gli Oscar, mica storie.
Insomma, se il citazionismo de Il nome della Rosa suona troppo postmoderno e datato perfino al suo autore, motivo per cui ha riscritto il romanzo dopo trent’anni, figuriamoci i famosi puntini di sospensione di Céline: oggi i puntini li usano i giovani su Facebook e negli sms come ponte tra una frase sconnessa e l’altra, e di conseguenza la Trilogia del Nord sembra scritta con l’iPhone tra due innamorati cerebrolesi di Moccia o due manifestanti in un corteo No Tav, quindi tanto per cominciare via i puntini da Céline.
Tagliare la scandalosa scena della carrozza in Madame Bovary, già censurata all’epoca perché troppo scandalosa, oggi non buona perché troppo poco scandalosa, il backseat e anche il taxi fucking sono tra i generi standard di Youporn, per non parlare degli obsoleti campanellini che sente Lady Chatterley quando ha un orgasmo, meglio metterci un bel gruppo moderno, tipo i Wolfmother.
Va rivisto una volta per tutte 1984, ai tempi di Orwell si temeva di essere spiati ventiquattro ore su ventiquattro, oggi per entrare nella casa del Grande Fratello si è disposti a pagare, e gli sfigati che non riescono a entrare nella casa si attaccano a Youtube. Va riscritto anche Il processo di Kafka, almeno per i lettori italiani che nella vicenda non ci trovano nulla di strano e di kafkiano, salvo innervosire molto Marco Travaglio perché questo lestofante innocente di K. non viene giustiziato direttamente a pagina uno.
En passant, già che siamo in fase di ristrutturazione, inserire più moderne pale eoliche al posto dei mulini al vento nel Don Chisciotte, sostituire un iPad alla tavola dei dieci comandamenti consegnata a Mosè nella Bibbia e Steve Jobs al posto di Dio, più credibile. Inserire elementi di nautica moderna in Moby Dick, magari frapponendo tra l’innocua balena bianca e il coraggioso Achab un mostruoso scoglio nero, per vedere se, anche di fronte a un vero pericolo, il comandante davvero non abbandona il Pequod, e aggiungere come sottotitolo: Achab, torni subito a bordo cazzo! A proposito di cazzo: poiché Gregorio De Falco lo ha finalmente sdoganato come termine eroico e non più semplicemente erotico e volgare, si potrebbe intervenire su quei penosi «membri» e «c…» usati da Pier Paolo Pasolini in tutti i suoi romanzi. Attenzione però: nel caso in cui voleste sistemare il look dei ragazzi di vita mandandoli dal parrucchiere, per adeguarli agli escort di Walter Siti, definito il nuovo Pasolini, ricordarsi di adeguare anche i nomi: il Riccetto diventi il Liscetto e così via.
È altresì necessario un updating di alcuni titoli troppo decadenti al giorno d’oggi, tipo Il trionfo della morte di D’Annunzio, se resta così non venderà una copia ai più giovani, che tra l’altro sono gli unici a innamorarsi, quindi meglio cambiarlo in Scusa se ti prendo e ci buttiamo in un burrone amore. Idem per I dolori del giovane Werther, non esageriamo, aggiorniamolo in Scusa ma le pistole erano ad acqua amore.
Inoltre, siccome Eco utilizza spregiudicatamente la cosmesi, sfoltendo al suo personaggio Guglielmo perfino i ciuffi di peli delle orecchie e così legittimando cospicui cambiamenti fisici e fisiognomici, potremmo dare a Isabella Teodochi Albrizzi il viso e le tette della mia amatissima Nicole Minetti, così mi identifico meglio nell’angoscia delle Ultime lettere di Jacopo Ortis?
È da suggerire anche un immediato, urgentissimo lifting al classico dei classici della letteratura italiana scolastica, I Promessi Sposi, una storia che non regge più, forse andrebbe risciacquata non in Arno ma almeno nelle fontane di Villa San Martino (a proposito: cambiare titolo anche a La Certosa di Parma di Stendhal, Villa Certosa è più interessante e romanzesca). Infatti non c’è dubbio che oggi Lucia avrebbe mollato quello sfigato di Renzo senza pensarci due volte, quindi non solo sarebbe stata inutile l’edizione del 1827 ma anche quella del 1840. A rifletterci sarebbe meglio fermarsi al Fermo e Lucia e intervenire lì, altrimenti non c’è storia: la Provvidenza non esiste, Don Abbondio il coraggio se lo può dare e apre una clinica privata a Milano, il povero Don Rodrigo viene intercettato da un magistrato e prova a difendersi invano dicendo che Lucia è la nipote di Napoleone e da lì iniziano i guai, e però allora forse va cambiato anche il titolo.
Non potendo utilizzare Ehi tu porco levale le mani di dosso che sarebbe perfetto se non fosse la frase proferita da George McFly a Beef in Ritorno al Futuro e Eco ha vietato le citazioni postmoderne, andrebbe bene un Fermo senza Lucia, o meglio ancora un secco: Fermo lì!, che anche come sintesi del nascente romanzo italiano non è niente male.
«Il Giornale» del 3 febbraio 2012

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