05 febbraio 2012

Frau Marlene & Frau Leni

Vite parallele. Nate a Berlino, il loro percorso è simile sino al 1929, quando Sternberg scelse il suo «Angelo azzurro». I successi di Hollywood per la Diva si accompagnano alle decise prese di posizione antinaziste, mentre la rivale diventa regista ufficiale di Hitler. Ruoli e rivalità delle signore tedesche
di Ranieri Polese
La sfida senza tregua tra Dietrich e Riefenstahl
Sulla tomba di Marlene Dietrich, nel cimitero di Friedenau a Berlino, è scritto un verso del poeta-patriota Theodor Körner, morto (1813) combattendo contro le truppe di Napoleone: «Sono qui, davanti alla fine dei miei giorni». Poco lontano da lei c'è la tomba di sua madre, Josefine von Losch, morta nel novembre del 1945 tenendo fede all'impegno di «sopravvivere a Hitler». Una donna di carattere, Frau Josefine. Così come la figlia Marie Magdalene, che a soli 11 anni si era cambiata il nome in Marlene («Marie» diceva «è un nome da cameriera», cosa che non le impedì di chiamare Maria l'unica figlia nata dal matrimonio con Rudolf Sieber).
Marlene moriva a Parigi vent'anni fa (il 6 maggio del 1992). Per un intreccio di date, questo 2012 può valere anche come anniversario - 110 anni - della nascita di Leni Riefenstahl (1902-2003), anche lei berlinese, donna di carattere forte, famosa e famigerata per i suoi film di propaganda nazista (Trionfo della volontà sul raduno del partito a Norimberga e Olympia sulle Olimpiadi di Berlino del 1936) e poi osannata per le sue fotografie della tribù dei Nuba in Africa. Due vite parallele (è appena uscito, in Germania, da Hanser, Dietrich & Riefenstahl. Il sogno della nuova donna di Karin Wieland), una, quella di Riefenstahl, segnata dall'abbraccio fatale con il nazismo, l'altra invece associata con le forze che ci liberarono dagli orrori nazifascisti. Eppure, sono tutte e due donne tedesche, ugualmente decise a raggiungere successo e fama (Riefenstahl anche potere), due tipi assai diversi di quella stessa forza di volontà che ancora oggi, nei giorni in cui l’Europa dipende dalle decisioni della Kanzlerin Angela Merkel, contrassegna figura e ruolo delle deutsche Frauen.
Fino al 1929, Dietrich e Riefenstahl seguono percorsi simili, paralleli. Marlene studia violino ma poi, per una infiammazione ai tendini, chiude la sua carriera di musicista. Anche Leni, dopo gli studi di danza, per una brutta caduta deve interrompere le sue prove di ballerina. Nessuna delle due, però, vuole finirla lì, non si arrendono, cercano lavoro in teatro e poi nel cinema. Differenti per nascita e origine (Dietrich viene da una famiglia benestante, Riefenstahl invece è figlia di un proprietario di una modesta falegnameria che sognava di impiegarla come segretaria), hanno anche gusti diversi: la prima ama i varietà con coppe di champagne e girotondi amorosi, l'altra subisce il fascino del richiamo della natura, dei film di montagna di Arnold Fank che saranno un po' il preludio al culto nazista del Naturmensch. Ma quando nel 1929 arriva a Berlino Josef von Stemberg, il regista austriaco naturalizzato americano, per cercare la Lola Lola dell'Angelo azzurro, a questo punto il destino delle due ragazze berlinesi prenderà strade molto diverse.
Inizia così una sfida a distanza tra Riefenstahl, destinata a diventare gloria e simbolo della Germania hitleriana, e Dietrich che grazie a Hollywood conquista successo e fama mondiale. Un risentimento che non abbandonerà mai Leni, che, ormai ultraottantenne, nelle sue memorie racconta che von Stemberg le aveva chiesto in ginocchio di essere lei la protagonista del film tratto dal romanzo di Heinrich Mann. Lei non cedette e anzi gli consigliò di rivolgersi a Marlene (Se vuole un'attrice per il ruolo di una puttana, chi meglio di lei, gli avrebbe detto). Tutte bugie, come tante altre che la vecchia amica di Hitler continuerà a spacciare nei suoi ricordi.
Il successo mondiale dell'Angelo azzurro, le sue lunghe gambe, la voce roca con cui intona il suo inno di seduzione («Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt») aprono a Marlene le porte di Hollywood, e una serie di film - sempre con von Stemberg regista: Marocco, Disonorata, Shanghai Express - la consacrano come nuova dea degli schermi. Leni, invece, diventa regista per filmare nuove avventure sulle vette più alte (La bella maledetta), poi incontra Hitler e all'indomani della presa del potere (1933) diventerà la regista ufficiale del Führer. Opere di altissimo valore tecnico ed estetico, ma pur sempre di propaganda. Nel 1936, quando Marlene rifiuta l'invito di Goebbels a tornare in Germania (le offrono carta bianca sui film da girare, soggetti, registi), Leni denuncia l'«ebreo ungherese» Béla Balàsz che le chiede soldi per il suo lavoro di sceneggiatore. Poi, per le riprese del nuovo film Tiefland, di ambientazione spagnola, la regista usa degli zingari prelevati da un campo di concentramento vicino a Salisburgo.
Allo scoppio della guerra, Riefenstahl segue le truppe in Polonia e alcuni testimoni la ricordano mentre assiste a un massacro di ebrei. Dietrich, invece, legata sentimentalmente in quel momento a Jean Gabin, si impegna a sostenere la necessità di una guerra contro la Germania nazista. E finalmente, nel '44, arriva in Europa al seguito delle truppe americane per cui tiene concerti («non ho mai avuto e non avrò mai più un pubblico così caldo»). Per tutto questo, riceverà onorificenze e medaglie dagli Alleati, mentre Riefenstahl, arrestata in Austria, affronterà le commissioni di epurazione e vari processi relativi allo sfruttamento del lavoro degli zingari.
La regista di Olympia, comunque, non si arrende: controbatte le accuse, spesso mente, dice di essere il capro espiatorio per colpe non commesse, tenta testardamente di riprendere il suo lavoro nel cinema, infine comincia a visitare l'Africa orientale (la lettura di Hemingway l'avrebbe ispirata), una volta ancora in cerca del Naturmensch.
E Marlene? Gli anni che lasciano segni impietosi, la disaffezione degli spettatori americani per i film costruiti sul cliché della femme fatale, la rarefazione di ruoli per una signora che viaggia verso i 50 anni (è allora che Garbo abbandona gli schermi) potrebbero convincerla a gettare la spugna. E invece no, lei non si arrende, pur di continuare cambia tutto: basta con il cinema (a parte due capolavori, Testimone d'accusa e Vincitori e vinti), ora la divina si dedicherà solo ai concerti. Ha un repertorio ricco e fascinoso (dalle canzoni dell'Angelo azzurro ai pezzi americani degli anni 40, da Lili Marleen alla nostalgica ambiguità di «Ich hab' noch einen Koffer in Berlin / Ho ancora una valigia a Berlino»), ma ciò che cura di più è l'apparizione in un bianco folgorante, fasciata da un abito che riluce e lascia in mostra le gambe meravigliose, avvolta in un manto candido di piume di cigno (3.000 volatili uccisi, contò qualche animalista ante litteram). Per molti anni l'accompagna il giovane Burt Bacharach, e fra i due c'è anche una storia d'amore. In Germania, dove alcuni nostalgici la contestano come traditrice della patria, reagisce spavalda («non temo per me, ma per il mio manto di piume»). Quando in una tournée in Israele le fanno sapere che non sono gradite canzoni in tedesco, lei non cambia il programma.
Ultima svolta. Mentre Marlene affronta il suo triste crepuscolo (l'ultimo concerto è nel 1975, fa una breve apparizione nel film Gigolo, 1979, accanto a David Bowie, poi seguono i lunghi anni di clausura nella sua casa di Parigi, Avenue Montaigne) e si vede dimenticata da tutti, Leni con le sue foto dei Nuba - una prima pubblicazione su «Life», poi negli anni 70 escono i grandi volumi - si aggiudica elogi e riconoscimenti in Europa e in America. A quelli che dimenticano il suo passato, Susan Sontag ricorda, in un saggio apparso nel 1975, che anche le immagini degli statuari guerrieri rispondono all'estetica fascista. Mostre, libri di fotografie, interviste: l'amica di Hitler celebra il suo trionfo. Fra i suoi ammiratori vanta nomi come Warhol e Pauline Kael. Per un film - mai fatto - sulla sua vita si contendono i diritti Jodie Foster e Madonna e i registi Verhoeven e Soderbergh. Quando Helmut Newton la fotografa, lei scherza: va bene essere chiamata la vecchia nazista, ma ciò che non tollera davvero è l'idea che tutti pensino che Dietrich aveva gambe più belle delle sue.
L'antica rivalità non si è spenta. A Francoforte, nel 2001 (due anni prima della sua morte), dove Taschen presenta un gigantesco volume sulle Cinque vite di Leni Riefenstahl, lei si scaglia contro i giornalisti che le fanno domande sul suo passato: era un'artista, non s'interessava di politica, i campi di sterminio non sapeva nemmeno che esistessero. Marlene è già morta da nove anni. Nella sfida fra due volontà di ferro, Leni la nazista ha l'ultima parola e strappa la sua tardiva, amarissima vittoria.
«Corriere della Sera» - Supplemento "La lettura" del 22 gennaio 2012

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