05 febbraio 2012

Tempo e spazio nel Canzoniere

Approfondimento tratto dal manuale per il liceo La scrittura e l'immaginazione
di Romano Luperini
La meditazione di Petrarca più che sull’eterno si concentra sul tempo, concepito come fuga, come labilità e distruzione di tutte le cose terrene. Il tempo della vita, dell’amore e della gloria è precario e fuggevole. Il poeta avverte il fascino di questi beni, ma è insieme consapevole della loro nullità nella prospettiva dell’eterno: di qui la percezione di una mancanza di senso, che ne ostacola o rende doloroso il godimento. Qui la radice del «viver dolce amaro» testimoniato dal Canzoniere. I Trionfi inscrivono in uno schema tipicamente medievale il percorso di successione e continuo superamento dei termini antitetici dell’amore, della morte, della gloria, del tempo e dell’eterno. Lo schema del Canzoniere è diverso, non è ascensionale, ma progressivo, in quanto ha per oggetto la durata della vita umana e dell’amore nel tempo. La preghiera finale alla Vergine è un’invocazione, una direzione di ricerca più che una conquista sicura.
Non solo, ma la scoperta del Canzoniere è l’introduzione nella lirica del tempo interiore. La memoria dà prospettiva, movimento, storia agli eventi psichici e in primo luogo all’esperienza fondamentale dell’amore. Questa dimensione è sconosciuta alla poesia stilnovistica, dove tutto è statico o comunque fissato in un presente atemporale. Nella poesia di Petrarca il filtro della memoria permette un continuo confronto tra passato e presente, che esalta la storia dell’individuo più che l’esemplarità dell’evento. Anche Beatrice muore nella Vita nuova e Dante cambia, ma nella prospettiva di ascesa al divino la donna si trasforma in allegoria religiosa. Il tempo di Dante è il tempo dell’anima, dell’eternità.
In Petrarca lo sforzo di ascesa al divino non riesce a inglobare "esperienza d’amore giovanile, esclusivamente legata al tempo e allo spazio terreni: essa dovrà essere ripudiata. Il ricordo opera, infatti, come un argine contro la labilità del tempo esteriore, rafforzando l’attaccamento al bene perduto. Il sogno, che subentra alla memoria dopo la morte di Laura, più che le ascese di Francesco verso il cielo, registra le discese della donna sulla Terra a confortare il poeta.
Anche lo spazio subisce un analogo processo di interiorizzazione. Il riferimento alla natura è già presente nella lirica cortese. L’esordio primaverile è un tòpos della poesia trobadorica e ha la funzione di manifestare, per analogia o contrasto, lo stato d’animo del poeta. La poesia stilnovista sviluppa il ricorso al mondo della natura, sfruttando la scienza dei bestiari, dei lapidari, dell’astrologia, per costruire similitudini tese a sottolineare la naturalità delle leggi di amore. La bellezza della donna viene pure esaltata attraverso l’elencazione delle bellezze naturali. In certe canzoni di Dante la natura ispira ampi quadri che stabiliscono, attraverso la figura della similitudine, una comparazione tra il paesaggio esterno e il sentimento del poeta. La natura può offrire termini di confronto, ma il dualismo del rapporto io-natura resta indiscusso (cfr. Dante, «Io son venuto al punto della rota»). Anche in Petrarca troviamo liriche strutturate in modo simile, per esempio la canzone L «Ne la stagion che i ciel rapido inchina». Qui il quadro idillico-pastorale all’inizio di ogni strofa si oppone allo stato doloroso del poeta, ma questo secondo elemento tende a crescere e a imporsi, invadendo e riducendolo spazio del paesaggio. Anche nel sonetto CCCX, «Zephiro torna, e ‘l bel tempo rimena», la classica contrapposizione tra la rinascita primaverile e il «deserto» del proprio animo è ripresa con un sentimento acuto del contrasto tra l’intimo desiderio di amore, che trova espansione nel paesaggio circostante, e la sua frustrazione,
Il paesaggio nel Canzoniere è sempre compenetrato della presenza umana: c’è una corrispondenza immediata, addirittura contiguità e trasmigrazione di vita tra le parti del corpo di Laura e gli elementi della natura. Le belle membra sono immerse nelle acque, il tronco fa al fianco colonna, i fiori cadono nel grembo e sulle trecce bionde fino ad arrivare alla sostituzione affettiva: «Da indi in qua mi piace/ questi herba sì, ch’altrove non è pace» (cfr. «Chiare, fresche et dolci acque»). Il paesaggio è anche funzione del desiderio del poeta di rivedere la donna amata: ed ecco la disseminazione del volto di Laura negli elementi della natura, dove l’immaginazione del poeta li proietta come miraggi (cfr. «Di pensiero in pensieri di monte in monte»).
Il paesaggio nel Canzoniere diventa espressione dello stato d’animo del poeta. È testimone, scena di avvenimenti interiori, perciò indeterminato e scandita da un ritmo che riproduce il percorso interiore dei pensieri e degli affetti che agitano il poeta. Un’esemplare conferma di questa identificazione tra l’io e la natura è offerta dal sonetto «Solo et pensoso i più deserti campi», in cui tutte le tappe del monologo del poeta si traducono in gesti del corpo, nel camminare, alla ricerca di una natura solitaria che offra scampo e protezione all’interno affanno. Ma invano, perché anche la natura non può essere d’aiuto: nella natura egli incontra se stesso e l’amore a cui vuole sfuggire. «Condizione psicologica, atteggiamento corporeo, paesaggio sono in completo accordo fra di loro, ed è difficile a dirsi che cosa si imprima più profondamente nella memoria, se il passo misurato o lo stanco conforto, perché ambedue sono una cosa sola ed esprimono quella compenetrazione di anima e oggetto che è un privilegio della lirica» (H. Friedrich, Epoche della lirica italiana, Mursia, Milano 1974, I, p. 216).
Postato il 5 febbraio 2012

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