27 settembre 2012

«Giusto rimuovere i contenuti che offendono razza o fede»

L'intervista Jeffrey T. Schnapp, guru dei nuovi media, non vede nella decisione di Mountain View un attentato alla libertà di espressione
di Serena Danna
«Ci sono parametri da rispettare Ma la scelta è sempre politica»
Saranno le origini da filologo romanzo o l' attitudine a mettere insieme arti diverse, fatto sta che quando osserva le dinamiche del web, Jeffrey T. Schnapp non cade nelle polarizzazioni tipiche degli addetti ai lavori. Nella decisione di Google di censurare in alcuni Paesi il trailer del film «Innocence of Muslims», il co-direttore del Berkman Center for Internet and Society di Harvard non vede un attentato alla libertà di espressione. Né tantomeno ritiene un atto coraggioso l'aver respinto la richiesta dell' amministrazione americana di rimuovere il video. Raggiungiamo telefonicamente Schnapp, 58 anni, durante le prove dello spettacolo «The e-info age Remix» in programma a Milano. Da un lato il no alla richiesta di Washington di censurare il video «anti-Maometto», dall'altro la rimozione del video in India, Indonesia, Libia ed Egitto: come giudica il comportamento di Google? «L'azienda sta operando all'interno del perimetro tracciato nel 2007 dalle "community guidelines". Ci sono regole chiare sulla pubblicazione dei video e quando vengono violate - ad esempio se offendono la razza, il genere o la religione di un utente - il contenuto deve essere rimosso, altrimenti non c'è alcuna ragione per bloccarlo». In questo caso però la rimozione del trailer del film, laddove è avvenuta, ha seguito parametri «straordinari». «La decisione è stata presa basandosi sulle leggi locali dell' India e dell' Indonesia, che considerano il contenuto del video "illegale", e sulla situazione d' emergenza in Egitto e in Libia». È proprio il potere discrezionale di Google a spaventare i difensori della libertà di espressione. «Bisognerebbe giudicare le azioni di Google nei fatti, non appellandosi a principi astratti. Credo che l'azienda stia gestendo in maniera responsabile le contraddizioni della Rete. La decisione di resistere alle pressioni del governo americano è un buon segnale per la libertà online. Quando si crea attrito tra i governi e le multinazionali che gestiscono i nostri dati vuol dire che il sistema democratico è sano. Ho criticato Google quando ha deciso di lasciare la Cina per non scontrarsi con il potere politico che voleva imporre i suoi parametri di pubblicazione e distribuzione delle notizie. Il cammino verso la democrazia è lento, l'azienda avrebbe dovuto lavorare per assecondarlo. Non hanno avuto il coraggio di farlo». Sembra attribuire al colosso di Mountain View un ruolo politico. È giusto che una multinazionale abbia un tale potere sui cittadini? «Tutto il mondo che riguarda la comunicazione ha un peso politico ed è assurdo far credere il contrario: un giornale decide se dare o meno una notizia e con che tipo di rilevanza. Nel caso dei video su YouTube sono gli utenti, i cittadini, a denunciare direttamente all' azienda se violano le regole stabilite. E i governi vengono trattati come singoli utenti». Gli interessi di un privato possono essere paragonati a quelli di una nazione? «Sì, se si vuole resistere alle pressioni. Google ha ricevuto settemila richieste di censure in sei mesi lo scorso anno». È caduto dunque il mito della «neutralità della Rete»: il principio in base al quale gli operatori di Rete si limitano a trasmettere dati e contenuti senza filtrarli? «I parametri per filtrare i contenuti online devono essere decisi solo dagli utenti. La neutralità degli «intermediari», le piattaforme e i canali che li ospitano, va garantita. Ma il processo nel suo complesso resta politico». Chi è Ad Harvard Jeffrey T. Schnapp, filologo romanzo di formazione, è il co-direttore del Berkman Center for Internet and Society di Harvard
«Corriere della Sera» del 16 settembre 2012

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