17 ottobre 2012

Dalle vignette blasfeme a Wikileaks, se la libertà dei media sfida la morale

E' giusto pubblicare qualsiasi cosa e qualsiasi immagine sempre e senza autocensure?
Quali sono i limiti da rispettare?
di Francesca Paci
 
Prima il film anti-islam "Innocence of muslims", ora le vignette della rivista satirica francese Charlie Hebdo con Maometto raffigurato senza veli. La rabbia musulmana, che il settimanale americano Newsweek ha messo in prima pagina scatenando reazioni contrastanti su Twitter, risponde alle provocazioni con un tempismo talmente fulminante e una irrazionalità indipendente dalla cronaca (quanti hanno visto il trailer e quanti il numero corrente di Charlie Hebdo?) da far ipotizzare ad analisti e studiosi la presenza di un burattinaio. Il tempo ci dirà come sono andate e stanno andando le cose.
Poste però le debite differenze tra diritto di opinione e diritto d'offesa, e solo dopo aver condannato la violenza assassina (bello, a questo proposito, l'editoriale di Thomas Friedman sul New York Times), non è la prima volta che ci troviamo di fronte a casi complicati, in cui la libertà d'informare (o anche solo di comunicare un'opinione) entra in conflitto con la morale, i costumi, la buona educazione, la legge. E non solo quando si tratta d'islam, anche se purtroppo quando si tratta di islam le reazioni degenerano rapidamente fino a produrre, negli scenari peggiori, l'inferno di Bengasi in cui sono stati uccisi l'ambasciatore americano Stevens e altri tre diplomatici.
E' giusto pubblicare qualsiasi cosa e qualsiasi immagine sempre e senza autocensure, come grossomodo indica il modello Wikileaks? Ci sono limiti, e casomai quali, a ciò che si può pubblicare, soprattutto nell'era di internet in cui le informazioni viaggiano a 360° e alla velocità della luce assumendo, una volta "postate", una autonomia quasi irreversibile? Sì? No? La questione è più che mai aperta nel mondo senza confini in cui però rinascono (per reazione?) le identità (nazionali, religiose, etniche, culturali). Ecco alcuni esempio di casi "problematici".

30 settembre 2005
Il quotidiano danese Jyllands Posten pubblica dodici caricature del Profeta Maometto, in una delle quali è raffigurato con una bomba al posto del turbante. Il giornale norgevese Magazinet le riprende e - mentre le vignette si moltiplicano in rete raggiungendo luoghi dove i giornali danese e norvegese non sarebbero arrivati mai - in tutto il mondo si scatena la rabbia dei musulmani. Il 2 novembre dell'anno precedente il regista olandese Theo van Gogh era stato assassinato da un estremista islamico come ritorsione per il suo film Submission (il film continua a venire mostrato quasi si vuole provare l'incompatibilità tra islam e democrazia, così come il cortometraggio Fitna girato dal politico olandese Geert Wilders nel 2008).

24 febbraio 2010
Tre dirigenti di Google vengono condannati per violazione della privacy (ma non per diffamazione) a sei mesi di reclusione. La sentenza del Tribunale di Milano si riferisce a un filmato pubblicato su Google video nel 2006 in cui un minore affetto da sindrome di down veniva picchiato da quattro compagni di scuola dell'istituto tecnico Steiner di Torino (condannati a un anno di messa in prova presso l'associazione di cui fa parte la vittima). ll video era stato girato nel maggio 2006, caricato su Google Video l'8 settembre e rimosso il 7 novembre. Si tratta del primo procedimento penale a livello internazionale che vede imputati responsabili di Google per la pubblicazione di contenuti sul web. La stampa anglosassone attacca l'Italia accusandola d'essere liberticida e Google replica: «Ci troviamo di fronte ad un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito Internet. La Legge Europea è stata definita appositamente per mettere gli hosting providers al riparo dalla responsabilità, a condizione che rimuovano i contenuti illeciti non appena informati della loro esistenza». L'ambasciata americana a Roma la sentenza rischia di mettere a repentaglio la libertà di internet.

2 settembre 2011
Wikileaks mette integralmente in rete 251 mila cable della diplomazia statunitense senza ritocchi editoriali (unredacted), vale a dire senza cancellare i nomi di collaboratori e informatori locali che a quel punto diventano noti a chiunque. Molti commentatori attaccano l'organizzazione guidata da Julian Assange giudicandola criminale. I media ex partner di Assange - il Guardian, il New York Times, Der Spiegel, El Pais e Le Monde - pubblicano un durissimo comunicato congiunto condannando la "non necessaria" diffusione dei dati integrali. Wikileaks spiega che la colpa, casomai, ricade sul giornalista del Guardian David Leigh, il quale nel luglio del 2010 aveva pubblicato nel suo libro WikiLeaks: Inside Julian Assange’s War on Secrecy la password d'accesso cosegnatagli in precedenza da Assange. Comunque sia andata il risultato è che decine di collaboratori degli americani, residenti in zone non esattamente rispettose delle differenti scelte altrui, si trovano scoperte.

18 settembre 2012
Il settimanale francese Closer viene condannato per la pubblicazione delle foto di Kate Middleton in topless: il magazine non potrà vendere né diffondere ulteriormente gli scatti incriminati (ma ha già venduto 500mila copie, 100mila più del solito). Il direttore del giornale rischia fino a un anno di prigione e 45mila euro di ammenda. Internet nel frattempo ha ripreso e rilanciato la storia e le immagini a 360° tanto che gli avvocati della famiglia reale britannica rinunciano a chiedere il ritiro delle copie già in circolazione ammettendo implicitamente che il danno è fatto. La sentenza promette 10 mila euro al giorno di multa per ke future eventuali pubblicazioni ma non impedisce ad altri editori di pubblicare le foto, perché appartengono a chi le ha scattate. Il direttore del tabloid Irish Daily Star, che ha pubblicato le foto, viene allontanato. Ebay rinuncia alla possibilità di vendere online le copie di Closer.
«La Stampa» del 19 settembre 2012

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