11 gennaio 2013

L’Europa e il populismo di Pilato

I fini della natura e della ragione a confronto con la fede nel pensiero del filosofo Robert Spaemann e del cardinale Ruini
di Gian Guido Vecchi
«Se si rinuncia a cercare la verità, tutto diventa una questione di potere»
«Vede, sono cresciuto all'epoca del nazismo e ho visto da giovane che la maggioranza degli uomini può pensare in modo sbagliato. Io e la mia famiglia stavamo dall'altra parte. E per me è come un riflesso, ho imparato che l'uomo e il senso comune vanno difesi, sempre, nel caso anche contro la maggioranza». Robert Spaemann, 85 anni, già successore di Gadamer nella cattedra di Heildelberg, è uno dei massimi filosofi contemporanei, coetaneo e amico di Joseph Ratzinger. All'università della Santa Croce di Roma, dalle 17 di oggi, verrà presentato il suo capolavoro Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico (Ed. Ares) tradotto in italiano con la prefazione del cardinale Camillo Ruini. Che riflette sul «mancato riconoscimento delle basi morali e prepolitiche dello Stato» ricordando il discorso di Benedetto XVI al Bundestag di Berlino: una «ragione positivista» che si presenti come esclusiva «non può creare alcun ponte verso l'ethos e il diritto» e somiglia «agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo clima e luce da soli e non vogliamo più riceverle dal mondo vasto di Dio». Il volto affilato e lo sguardo penetrante, il professor Spaemann siede accanto a Ruini a casa del cardinale. Il suo libro ripercorre l'idea di télos come «fine» o «scopo» da Platone e Aristotele, la rinuncia alla «causa finale» e al pensiero di un finalismo nella natura e nella ragione a partire dalla rivoluzione scientifica del XVI secolo, fino alle aporie della riflessione contemporanea e alla proposta di un ritorno al vecchio télos. Questioni ardue, anche se Spaemann rovescia il cliché del filosofo lontano dal senso comune, la serva tracia che nel Teeteto di Platone deride Talete caduto nel pozzo: «Io difendo dallo scientismo il senso comune delle persone semplici, la ragione».
Le riflessioni ontologiche del libro riguardano questioni attuali. Vita, morte, temi etici, biopolitica. Molti partiti tendono a lasciare libertà di coscienza. Che ne pensate?
Spaemann: «Il Papa parla di dittatura del relativismo. E il relativismo radicale è una cosa molto pericolosa. Alcuni pensano sia la condizione della tolleranza, ma è vero il contrario. La tolleranza si fonda sul rispetto dell'uomo, della persona. Se questo scompare, se qualcosa come la natura dell'uomo non esiste, allora con l'uomo ? e la natura ? si può fare di tutto. Solo se la tolleranza si fonda su una convinzione profonda, è stabile. Del resto una cosa sono i giudizi, un'altra la decisioni di coscienza. Coscienza è convinzione che certe cose siano buone o giuste. Se c'è un confronto tra due coscienze e dicono cose diverse, si deve tollerare l'altro ma non è possibile siano ambedue corrette».
Ruini: «Il professore mette in chiaro che le convinzioni di coscienza non sono solo un fatto individuale ma riguardano il vero e il falso. L'umanità del XXI secolo si trova di fronte a questioni fondamentali che prima non erano rimesse alle nostre scelte personali, sociali, politiche. Sui grandi temi etici e antropologici, allora, è certamente una questione di coscienza, ma non solo. Io ricorrerei piuttosto al concetto di obiezione di coscienza. Una forza politica può dire: se qualcuno non è d'accordo, è concessa l'obiezione di coscienza. Ma non si può ridurre tutto alla coscienza personale dei singoli esponenti, senza che ci sia una presa di posizione e una linea da seguire. Non è adeguato alla rilevanza pratica del problema oggi».
Ne «L'infanzia di Gesù», Ratzinger sembra porre come icona dello scetticismo moderno Pilato che chiede: cos'è la verità?
Spaemann: «Sono d'accordo, la sentenza di Pilato è la vittoria del populismo sul diritto. Gesù muore a causa della mancanza di coraggio di un giudice. Se non c'è la verità tutte le questioni diventato questioni di potere. Ed è quanto accade oggi. In Europa c'è grave limitazione della libertà di opinione. Non si dice: ciò che sostieni è falso. Si dice: questo non lo puoi sostenere! Non ci si chiede se sia vero o no, ma se sia politicamente corretto o meno. E ciò che è politicamente corretto lo decide chi ha il potere».
Ruini: «Ci può essere mancanza di coraggio, ma io vedo soprattutto una grande confusione di idee: proprio perché si pensa che la verità sia un concetto vecchio, superato».
Si mettono in discussione le «sensate esperienze» e le «necessarie dimostrazioni» di Galileo. Non è antimoderno?
Spaemann: «In Hobbes dietro la conoscenza di una cosa c'è la volontà di cambiarla, di potere. Francis Bacon sosteneva che l'orientamento al fine in natura è come "una giovane vergine votata a Dio, essa non genera nulla". Ma l'esito è che ci resta solo in big bang, non c'è nulla che l'uomo sappia. Così non abbiamo bisogno di una nuova scienza, la scienza è come è, ma ci vuole una valutazione nuova dell'insieme della vita umana e della natura».
Ruini: «Il libro di Spaemann non è contro la scienza moderna ma contro l'assolutizzazione del sapere scientifico come unica forma di sapere autentico. La scienza esclude metodologicamente la questione della causa finale, ma questo non significa che se ne debba prescindere in assoluto».
Professore, si dirà: questioni astratte...
Spaemann: «La teleologia è la convinzione della ragione verso se stessa. Cartesio dice che se dai un calcio a un cane non prova dolore, è una macchina, ma ciascuno vede quando un animale soffre, lo sa. Viviamo in un mondo che tenta sistematicamente di dire che non è corretto ciò che l'uomo sa, da sempre, su se stesso. Il senso comune va difeso dalla manipolazione delle masse».C'è il rischio, eminenza, che un pensiero «orientato alla verità» venga usato ipocritamente, come falsa bandiera elettorale?
Ruini: «Il quadro è complesso, c'è anche chi cerca voti parlando contro i valori etici. Il rischio di strumentalizzazione, in politica, c'è sempre, è difficile distinguere. Ma è un rischio che si supera con la verifica di ciò che veramente le forze politiche fanno quando ne hanno la possibilità. Sul tema della famiglia, per dire, un po' tutti sono disposti a dichiarare. Se poi si va a verificare è stato fatto pochissimo...».
«Corriere della Sera» del 10 gennaio 2013

Nessun commento: