11 gennaio 2013

«Sì ai diritti per le coppie gay. Ma si nasce da uomo e donna»

Il dibattito sulle famiglie omosessuali dopo l'articolo di Galli della Loggia
di Daniela Monti
Ogni libera scelta comporta delle conseguenze. Apriamo un confronto nelle università. Il filosofo Pessina: non si cerchi la parità a tutti i costi
Differenze da tutelare. Differenze «niente affatto indifferenti». Quante volte Adriano Pessina, cattedra di Bioetica alla Cattolica di Milano, nomina la parola differenze? Tante. È il termine chiave, spiega, nell'affrontare un tema caldo, che fa accapigliare, come è quello delle famiglie gay e del loro desiderio, che chiede spazio, di avere una famiglia. L'intervento di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere, ha riaperto il dibattito: giusto che gli omosessuali abbiano figli? Sì, ha risposto un papà gay, chiedendo per sua figlia gli stessi diritti riconosciuti agli altri bambini. No, ha risposto la psicanalista Silvia Vegetti Finzi, spiegando l'importanza di crescere «con entrambe le figure genitoriali». «Ma oggi l'identità si costruisce su una rete di persone, che diventano affettuosi riferimenti al di là del grado di parentela», ha sostenuto lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro, aggiungendo la propria voce. Ora il filosofo Pessina, cattolico, che ritiene l'omosessualità «una scelta libera, un certo modo di essere e di esistere che va compreso» lasciando però aperta la questione, «che vale per qualsiasi altra scelta di vita», di come debba essere valutata e di come, e se, debba essere socialmente e giuridicamente tutelata. «Nel dibattito sull'omosessualità si tende a negare che esista una differenza fra maschile e femminile, sostenendo che sia indifferente essere maschio o femmina e che sia dunque indifferente che una coppia sia formata da un uomo e una donna oppure da due donne o da due uomini ? premette ?. Tanto l'importante sarebbe amarsi...». Ma il maschile e il femminile, continua, sono necessari per la definizione stessa della condizione umana, «e non si può certo sostenere che la differenza fra uomo e donna sia una teoria cattolica: è invece fondamentale persino per l'evoluzionismo». Dove ci porta tutto questo? «All'idea che la complementarietà fra i due sessi è decisiva per tutti: una società matura deve valorizzare la differenza, non mortificarla. Gli omosessuali negano l'importanza di una relazione con un partner di sesso differente. Scelta libera, che va accettata. Dobbiamo però convenire che, come qualsiasi altra scelta, l'omosessualità deve poter essere valutata e giudicata». E la valutazione che Pessina ne dà è in chiaro scuro. «Ogni libera scelta comporta delle conseguenze. I figli nascono da relazioni eterosessuali, non omosessuali. Quando si sceglie il proprio comportamento sessuale bisogna tenerne conto e assumerne le conseguenze con serena responsabilità. È forse una banalità, ma va detta». La scienza ci consente di raggiungere risultati un volta difficili da immaginare: questo ha cambiato notevolmente le cose. «La scienza e la tecnologia hanno trasformato in modo profondo la nostra esperienza ? concorda Pessina ?. Ma dobbiamo essere noi a gestire la tecnica, non il contrario». Le tecniche di procreazione assistita, per esempio: erano nate all'interno di un disegno che voleva agevolare la relazione di coppia, continua il bioeticista, «ora però siamo passati da un'idea di aiuto a quella di un indiscriminato diritto ad avere figli». Se sono omosessuale devo dunque rassegnarmi a non avere figli: è così? Quali scelte una società deve tutelare e quali lasciare aperte alla discussione? «È giusto che lo Stato tuteli con maggior vigore la famiglia eterosessuale come luogo della nascita. Un conto è parlare del riconoscimento di alcuni diritti giuridici degli omosessuali (che ritengo giusti), un conto è sostenere il diritto ad avere figli (come se esistesse, poi, questo diritto: nessuno ha diritto a un figlio, perché i diritti si hanno sulle cose, non sulle persone)». Il rischio e che si dica che una cosa «è buona solo perché è frutto di una libera scelta. Ma la vera domanda è: qual è il "valore aggiunto" proprio dell'omosessualità che lo Stato può tutelare?». Lei come risponde? «Non credo che nell'omosessualità ci sia un "di più", ma sono disposto ad ascoltare dialogare. Vedo però qual è il "di più" dato dall'eterosessualità: il difficile equilibrio di una relazione che comprende le differenze fra maschile e femminile, che va anche al di là della questione dell'avere figli». Il primo studio sui figli di genitori omosessuali risale al 1972: quarant'anni di lavori scientifici, in larghissima parte favorevoli a queste coppie e alle famiglie che hanno creato, vorranno dire qualcosa. «Come tutti i dati della scienza vanno verificati, ma il problema va posto all'origine e non guardando i risultati. Di fatto ci sono bambini equilibrati che sono stati allevati da famiglie poligamiche, o che sono cresciuti in orfanatrofio. Il problema resta un altro: qual è il contesto ideale nel quale pensare lo sviluppo della persona? Le differenze fra maschile e femminile sono un aspetto decisivo dell'umano. Che non può essere negato».In Europa molti Paesi sono più avanti di noi in materia di diritti, per tutti. «Questa è una valutazione di cui discutere. Le differenze non possono essere viste sempre e solo come un problema, ma anche come una possibilità. Perché invece di copiare dagli altri paesi non maturiamo insieme una scelta argomentata, non ideologica, in cui contino i valori umani e non solo la lotta per difendere i propri interessi più ancora dei diritti condivisi?».Il punto d'arrivo del discorso di Pessina: discutiamone, «apriamo un tavolo, senza ideologia, con "simpatia", cioè capacità di comprendere ciò che anche gli altri sentono, ragionando, argomentando». Un tavolo dove? «Il luogo più adatto è quello della cultura alta: l'università, dove però oggi si rivendicano diritti più che affrontare, in modo serio, le discussioni (ma noi siamo il paese delle emergenze, le discussioni su gay e figli diventeranno materia da campagna elettorale, dunque sono già bruciate. E intanto non ci rendiamo conto che, in questo genere di cose, o vinciamo tutti o perdiamo tutti)».
«Corriere della Sera» del 4 gennaio 2013

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