11 gennaio 2013

Spaemann: senza fini che vita è?

«Fini naturali. Storia & riscoperta del pensiero teleologico» il saggio di Robert Spaemann edito da Ares (pagine 464, euro 19,50) viene presentato oggi a Roma, nell’aula magna Giovanni Paolo II della Pontificia Università della Santa Croce (piazza Sant’Apollinare, 49), alle ore 17. Sarà l’occasione per riflettere sull’intero percorso di studio del grande filosofo tedesco. Apre l’incontro il cardinale Camillo Ruini, cui seguiranno il rettore monsignor Luis Romera, i sociologi Sergio Belardinelli e Leonardo Allodi, mentre le conclusioni saranno dello stesso Spaemann.
di Andrea Galli
«Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al perché». Il famoso frammento che Friedrich Nietzsche scriveva sul finire dell’800 fotografava il disorientamento di fronte a un mondo in cui venivano meno i valori tradizionali, tra cui, in filosofia, la caduta verticale del finalismo o teleologia, per usare il termine introdotto oltre un secolo prima da Christian Wolff. L’idea per cui nella comprensione del mondo abbiamo bisogno non solo della dinamica causa-effetto, ma anche della domanda sul fine per cui qualcosa viene fatto o è considerato buono. Nel ’900 si è intonato da più parti il de profundis per la teleologia, con un azzardo che più passa il tempo, più si rivela tale. A dimostrare come e perché sia avvenuto l’oscuramento della teleologia, a partire dal tardo medioevo, e come sia possibile oggi un suo recupero, aveva dedicato un corso universitario tra il 1976 e il 1977 Robert Spaemann. Da quelle lezioni, trascritte dall’allievo Reinhard Löw e poi rielaborate, uscì nel 1981 il libro Die Frage Wozu (La questione del perché), che in una nuova edizione del 2005 ha preso il titolo di Natürliche Ziele (Fini naturali, che esce a giorni in libreria per le edizioni Ares. Si tratta di un’opera poderosa per ampiezza dell’analisi storica, da Platone all’epistemologia della scienza contemporanea, e per acribia polemica. Sicuramente il capolavoro di Spaemann, oggi il maggior filosofo cattolico di lingua tedesca, anche se la definizione non gli piace. Preferisce definirsi un filosofo che contemporaneamente è cattolico.

Coetaneo del Papa, per la cronaca, è nato da genitori convertiti : il padre, rimasto vedovo, fu anche ordinato sacerdote.
Professore, cos’è in pillole la teleologia?
«Con teleologia intendiamo l’interpretazione dei processi dal punto di vista della loro finalità. Quando uno entra in un ristorante e ci si chiede il perché, la risposta è: per mangiare qualcosa. C’è naturalmente anche una spiegazione intermedia di tipo materiale, di cui si è occupato già Socrate. Alla domanda rivolta a Socrate sul perché non evade dal carcere, la sua riposta è: perché le mie gambe non si muovono oltre. La risposta al perché non si muovono oltre è: perché io voglio rimanere qui. In questo caso la spiegazione scientifica sarebbe invece la descrizione della contrazione dei muscoli: solo la metà della realtà».
Allargare il nostro concetto di ragione. È un richiamo che Benedetto XVI ha fatto diverse volte, in primis nel discorso di Ratisbona del 2006. Il recupero della teleologia è una via per questo obiettivo?
«Io non direi che la teleologia è la via e l’allargamento della ragione è il fine. Piuttosto che questo allargamento ha come conseguenza la riabilitazione della riflessione teleologica. Alla domanda perché uno entra in un ristorante, non è solo ragionevole rispondere perché le sue gambe lo portano lì, ma anche affermare che ciò avviene perché c’è un fine: mangiare qualcosa. È ragionevole prendere atto di ciò e del fatto che, limitandosi alla causalità, non si ha una descrizione completa della reale».
Quali sono oggi gli ostacoli per questa riabilitazione?
«Dietro alla negazione della teleologia c’è stato e c’è ancora l’interesse al dominio della natura. La riflessione teleologica permette di capire i fenomeni, l’osservazione e lo studio della causalità dei fenomeni conferisce invece il potere di manipolarli. Francis Bacon l’ha espresso in modo efficace: “L’osservazione dei processi naturali sotto l’aspetto del loro orientamento a un fine è sterile, è come una giovane vergine votata a Dio: essa non genera nulla”. O si pensi a Thomas Hobbes, secondo cui conoscere una cosa significa “immaginare cosa possiamo farne, una volta che la possediamo”. Oggi comunque la riscoperta della teleologia è già in atto. I biologi hanno cercato a lungo di farne a meno, ma non ce l’hanno fatta. Così hanno introdotto un altro concetto, la teleonomia, un surrogato della teleologia, con cui si indicano processi che si svolgono come se avessero un fine, ma che in realtà obbediscono solo a una causalità meccanica. Per il biologo la teleologia, ha scritto John B.S. Haldane, “è come un’amante, non può vivere senza di lei, ma non vuole essere visto in pubblico con lei”».
Sempre sul versante della biologia, ha fatto rumore negli ultimi anni la critica alla all’evoluzionismo di matrice darwiniana in nome di un “intelligent design”. Considera anche questo un contributo al recupero della teleologia?
«Penso che la teoria dell’intelligent design – che parla di un progettista al di fuori del mondo – abbia messo in luce una paura che riguarda anche chi è ostile alla teleologia: la paura di Dio. La fede in Dio non è il presupposto della conoscenza di processi teleologici – che può avvenire con mezzi di ragione naturali – semmai è la sua conseguenza. Quando si ha paura di questa conseguenza, cioè di Dio, ci si rifugia spesso in soluzioni fantastiche e irragionevoli. È comunque una paura infondata. Il creatore risiede al di fuori dei processi della creazione. È come se dovessimo analizzare un film sulle vicende dell’umanità. All’origine del film deve esserci sicuramente un proiettore: senza di lui, scompare anche il film. Ma il proiettore non “entra” nelle varie scene. Chi guarda il film può riconoscere dei validi motivi per ipotizzare che ci sia un proiettore alla sua origine, ma non vi s’imbatte direttamente. Così come il fisico non si imbatte direttamente in Dio. Solamente quando parla del Big Bang, lo scienziato si trova di fronte un muro: su cosa ci sia oltre non può dire nulla. Il credente può invece fornire una spiegazione, il che fa dire che le ambizioni della ragione vengono rafforzate dal collegamento con la fede».
Perché la lingua, come lei sostiene in “Fini Naturali”, è un baluardo della teleologia?
«Perché essa è il medium nel quale appare primariamente il significato e nel quale i fatti, in modo irriducibile, non si presentano semplicemente come tali, ma significano qualcosa, stanno come simboli per qualcosa che presuppone un destinatario, qualcuno in grado di comprenderli. Ogni biologo che scrive un libro, non può spiegare la scrittura del libro in modo causale-meccanico. Discutendo una volta con un biologo a Tubinga, dopo la sua relazione ho detto che a noi non interessava capire i processi neuronali sottostanti il suo intervento, ma capire se quello che aveva detto era giusto o no. La lingua non può essere abolita e il suo carattere teleologico neppure. Nietzsche lo aveva compreso e aveva ammesso che, quando un uomo si impegola nel parlare e nell’argomentare, è spacciato: perché “la lingua contiene, fossilizzati, gli errori fondamentali della ragione”».
«Avvenire» del 10 gennaio 2013

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