09 maggio 2013

Quando il web diffama non è libertà di stampa

di Fabio Folisi
La questione sollevata dalla presidente della Camera Laura Boldrini, vittima di ignobili attacchi sessisti e violenti sul web, è spinosa. Quando infatti dalla teoria si passa alla pratica, questioni come libertà d’espressione e Internet, che sembrano essere un binomio inscindibile, vacillano inevitabilmente e… giustamente. L’interpretazione che molti danno del web, è che debba essere una sorta di zona franca dove tutto è lecito, dove si può demolire e calpestare ogni diritto individuale, diffamare o minacciare, opprimere con pressioni psicologiche in nome di una presunta propria libertà d’azione. Allora, lo “strumento più libero e democratico che c’è” diventa un pericoloso dispositivo di oppressione e morte, una vigliacca pistola che può ferire ed uccidere al pari di quelle che sputavano fuoco negli anni di piombo. Il problema è semplice nella sua complessità. La domanda è: in rete devono valere o meno alcune semplici regole come quella che vuole che la propria libertà deve trovare il limite quando invade quella sacrosanta degli altri? Nuovo il mezzo, vecchio il problema, vetusto almeno quanto la comunicazione verbale e figurativa. Ma oggi i danni che può fare l’immediata visibilità del web non sono minimamente paragonabili a quelli di altri media del passato. Eppure internet è una occasione che l’umanità non ha mai avuto di propagazione di idee, di informazioni, di cultura. Il problema non è la “mediazione”, il problema è, semmai, quello di trovare delle regole che possano limitarne il potere offensivo e denigratorio. Ovviamente un sistema formidabile lo hanno in mano gli utenti, dare o meno credito all’autorevolezza della fonte, ma non basta, perchè le suggestioni alla credulità sono sempre in agguato. La libertà di stampa è certamente diritto costituzionale, ma non si può pensare di usare questo diritto come una clava. Allora anche il recente sequestro di un sito web, proprio a Udine, può diventare esempio di una discussione che andrebbe fatta. Secondo quanto specificato dal Gip nel decreto di sequestro preventivo, il blog in questione, utilizzava “tecniche di redazione dei messaggi e un linguaggio con un univoco obiettivo di gettare fango sulla persona offesa”. Il sequestro appare motivato soprattutto quando si scopre che, forse, per la consapevolezza di superare il limite, gli attacchi più virulenti venivano postati dallo stesso gestore del sito, spacciati come commenti anonimi dei lettori. Insomma oltre alla presunta diffamazione si prendevano in giro gli utenti e si millantavano accessi e visibilità irreali. Un comportamento che, sempre secondo il gip, necessita del sequestro in quanto «la libera disponibilità dei beni (il sito ndr) configura il pericolo di una reiterazione del reato, atteso che non si è trattato di un episodio isolato ma di un atteggiamento abituale che sta andando in scena ormai da mesi». Insomma l’oscuramento senza conoscere la vicenda potrebbe sembrare provvedimento abnorme, ma in realtà non lo è. Ora pur essendo stati anche noi vittime di virulenti attacchi personali proprio da quel sito, ci sentiamo di chiederne il ripristino, non perchè sia un insostituibile fonte di informazioni, anzi è stato spesso strumento fetente di lotta politica ad uso del potente di turno, ma per amore della democrazia. Si tratta, semmai, di chiedere precise garanzie di correttezza al gestore, che inizi rendendo invisibile l’archivio storico. Se invece continuerà a gridare all’attentato parlando di censura o, addirittura, facendo la “furbata”di sfidare la giustizia utilizzando un altro sito web, la posizione, temiamo, diventerà assolutamente indifendibile.
«Il quotidiano» del 4 maggio 2013

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