31 dicembre 2013

La generazione dei bravi ragazzi

Età e idee della politica
di Aldo Cazzullo
In politica - titolano tg e giornali - è l'ora dei quarantenni. Ma, a ben vedere, è un ricambio più profondo quello che si annuncia, è un'altra generazione ancora quella che si affaccia alla vita pubblica. La generazione che si potrebbe definire dei «bravi ragazzi». Enrico Letta non è certo un volto nuovo: nel 1998 era già ministro. Angelino Alfano ha quattro anni di meno, ma non si direbbe: le grisaglie, l'eloquio che ricorda i principi del foro siciliani, l'ormai lunga militanza politica ne fanno un veterano. Ma alle loro spalle avanzano i veri giovani, volti più freschi di quelli - da tempo entrati nella sfera mediatica - di Matteo Renzi o di Giorgia Meloni.
La nuova segreteria del Pd, scelta un po' frettolosamente, può senz'altro essere criticata per la sua «leggerezza». Allo stesso modo, la ricerca di nuovi talenti avviata da Berlusconi non ha ancora dato i risultati attesi. Essere giovani non basta; la preparazione e l'esperienza saranno sempre requisiti fondamentali. Però sarebbe ingeneroso ridurre le novità che avanzano al solo dato anagrafico. I volti che andiamo scoprendo in questi giorni non sono semplicemente di bell'aspetto; dietro ci sono persone normali, di modi garbati, di buoni studi, insomma ragazze e ragazzi come quelli che vediamo festeggiare le lauree nelle città universitarie, cercare tra grandi difficoltà un lavoro, tentare di costruirsi una famiglia e un futuro. Non figli d'arte né del Partito. Volti in cui i nonni possono riconoscere i propri nipoti, i padri i propri figli.
È importante che le nomenklature, a sinistra come a destra, avvertano la necessità di cambiare, di avviare un rinnovamento che non sia solo di facciata ma coinvolga i comportamenti, i profili, le storie, il linguaggio. Mai il discredito della politica è stato così alto, mai il suo fascino così basso. I talenti migliori non se ne sentono attratti. Molti cittadini non ne vogliono più sapere: non a caso tutti i talk show perdono audience. I parlamentari sono visti come alieni che vivono un'altra vita e discutono di altre cose rispetto alla gente normale. In queste circostanze, investire di responsabilità giovani che hanno appena compiuto trent'anni, che hanno figli piccoli o in arrivo, significa finalmente distogliere lo sguardo dalle contrapposizioni ideologiche, e rivolgerlo a un avvenire che non sia l'eterno ritorno di cose già viste e già sentite.Del resto, nelle aziende innovative, nelle start up, nel mondo delle nuove tecnologie è frequente (non soltanto all'estero) vedere ai posti di comando persone giovani o molto giovani. E per un ragazzo che ancora non vota, ed è tentato di non farlo mai, un trentenne al potere non è un esperimento azzardato ma un fratello maggiore che finalmente si assume le proprie responsabilità. Abituati come siamo a classi dirigenti inamovibili, distanti, talora disoneste, avvezze a cooptare figli e famigli tagliando fuori tutti gli altri, sbaglieremmo a liquidare come inadeguati i compagni di strada di Renzi - compresi quelli che non appartenevano alla sua corrente - e coloro che emergeranno dallo scouting in corso a destra. L?importante è che, oltre a sembrare e - si spera - essere «bravi ragazzi», sappiano coltivare la profondità. Il ricambio generazionale, di cui ogni Paese ha bisogno, non è mai un fatto soltanto anagrafico, non consiste nel mettere semplicemente un giovane al posto di un anziano; significa fare cose nuove o fare le cose di ieri in modo diverso.
«Corriere della Sera» del 13 dicembre 2013

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