05 febbraio 2014

Le quattro regole per far leggere i giovani

di Florence Noiville
In Francia, come credo in Italia, e nella maggioranza dei paesi eu­ropei la situazione è difficile. Al­meno per 4 motivi: 1) Il gusto del­la lettura cala nel corso del tem­po. Nel 2002 leggere era al terzo posto (40%) dietro 'fare sport' (75%) e 'praticare un’attività artistica' (54%). Nel 2010, la lettura si collocava sempre al terzo posto, ma aumentava lo scarto rispetto alle due attività che lo pre­cedevano. Nel 2012, il posizionamento della lettura è peggiorato passando al quarto posto tra le attività preferite (ma assai più indietro rispetto a stare al com­puter, ascoltare musica e praticare sport); 2) Ragazze e ragazzi non hanno gli stessi comportamenti rispetto alla lettura. Nel­l’insieme i ragazzi leggono meno. Que­sta femminizzazione della lettura esiste fin da piccoli, ma lo scarto reale avviene soprattutto nei ragazzini a partire dagli 11 anni, quando entrano alle scuole me­die. In altri termini, quando ci poniamo l’interrogativo: 'I giovani di oggi saranno i lettori di domani?', dobbiamo sapere che ragioniamo già su metà della popo­lazione giovanile, cioè sulla popolazione femminile e non su quella maschile. Si tratta, a mio parere, di un problema rea­le; 3) La posizione simbolica della lettu­ra dei libri nel mondo sociale è venuta meno. Le élite letterarie sono state sop­piantate dalle élite tecnico-commerciali ; cioè leggere non 'apporterebbe' più al­cun vantaggio. Nella testa del pubblico «l’investimento non dà abbastanza ren­dimento ». Per i giovani leggere è uno sfor­zo. E in un mondo dominato dalla reddi­tività, leggere non è abbastanza 'redditizio' rispetto all’investimento attuato. Grossomodo, si dice: «Non è perché leg­go che me la caverò nella vita»; 4) Infine, chi dice lettura dice lentezza, solitudine, immersione e soprattutto attenzione. «In uno spazio pubblico saturo di tecnolo­gie si esaurisce l’attenzione»: è questo il grido di allarme che ha lanciato il filosofo americano Matthew Crawford su Le Mon­de del 27 luglio 2013.
Continuamente sollecitati dai nostri smartphone e dai nostri pc, siamo tutti ­e in particolare i giovani - ipercollegati. Capaci di guardare la televisione e, simultaneamente, di parlare con gli amici con sms o su Facebook e di giocare su un tablet, diamo l’impressione di praticare agevolmente il multi-tasking.
Oppure questo sentimento di grande competenza che il multi-tasking può su­scitare in noi è ampiamente illusorio. In realtà - ed è provato da studi scientifici -, l’invasione degli schermi, della musi­ca diffusa dagli altoparlanti o della pub­blicità che attirano incessantemente il nostro sguardo o sollecitano il nostro u­dito indebolisce considerevolmente le nostre capacità di attenzione e di con­centrazione.
La questione che si pone è allora: come agire per fare ripartire la macchina che forma i lettori? Che cosa è efficace per sti­molare la voglia di lettura nei giovani? In mancanza di una risposta semplice, in­sistiamo almeno su quattro piste fonda­mentali e di buon senso. È importante:
1) che il libro sia fisicamente presente ne­gli ambienti frequentati dai ragazzi. Che ci siano, il più possibile, libri in casa e in tutti gli altri luoghi. Che il libro non sia marginalizzato. I sociologi hanno dimo­strato che il fenomeno del mimetismo ri­veste un ruolo fondamentale in materia di lettura. Il ragazzo che vede un genito­re o un adulto leggere e divertirsi avrà più propensione a imitarlo naturalmente che nel caso contrario. Perché i nostri figli leg­gano è capitale che anche noi leggiamo!
2) che i libri arrivino là dove solitamente sono assenti. Uno dei migliori esempi è quello di una ong francese, Atd Quart Monde, e delle sue 'biblioteche di stra­da'. Il principio è semplice: dei volonta­ri si installano per strada, sempre nello stesso giorno della settimana, e leggono. Pian piano s’instaura un appuntamento con i giovani o i meno giovani. Poco alla volta i ragazzi si familiarizzano con i libri e gli animatori finiscono per aiutarli a i­scriversi in biblioteca o a entrare in li­breria.
3) che fin dalla tenera età, compresi i neo­nati, si possa manipolare dei libri, gustarsi dei veri e propri universi di autori e illu­stratori, deliziarsi della lingua e delle im­magini fin dalla nascita.
4) che il libro smetta di far rima con iso­lamento e mediocrità e cominci a farla con piacere e condivisione. A tal fine è importante che chi ne parla lo faccia in modo convincente e allettante. In altre parole, che tutti i mediatori - librai, ma anche bibliotecari, giornalisti e gli stessi genitori - siano formati adeguatamente per essere non dei 'prescrittori' di lettu­re obbligatorie ma, per riprendere la for­mula di Philip Roth, degli «insegnanti di desiderio«.
La cosa non è fuori dalla nostra portata. In tutta Europa ci sono centinaia di ini­ziative che tutti i giorni dimostrano la lo­ro efficacia nel suscitare nelle generazio­ni a venire la voglia di leggere. Nei Paesi Bassi le gare di lettura ad alta voce, in Sve­zia le trasmissioni televisive come Car doctor che conducono al libro senza a­verne l’aria, in Germania la giornata na­zionale per la lettura: 12.000 persone quel giorno si mettono a disposizione per leg­gere in luoghi diversi, dalle scuole ma­terne alle biblioteche passando dagli o­spedali e in tutti quei luoghi dove si può incontrare il pubblico…
Una cosa è certa: chi non è un lettore og­gi probabilmente non lo sarà domani (il contrario non è vero). C’è l’urgenza di for­mare dei lettori. Di attuare politiche pub­bliche della lettura innovative e volonta­ristiche, sia a livello nazionale sia a livel­lo europeo. Non soltanto perché si ven­dano più libri ma perché il libro, oggetto di cultura, è anche un formidabile stru­mento poco costoso d’integrazione, di le­game sociale, di comprensione dell’altro e di democrazia in un momento in cui l’Europa ne ha bisogno.

(traduzione di Isabella Negri)
«Avvenire» del 30 gennaio 2014

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