15 febbraio 2014

Quando la rete diventa una trappola per giovani

di Luigi Ballerini
Il suicidio non è mai una soluzione, semmai è proprio la decisione che preclude ogni possibile soluzione, che impedisce ogni altra mossa. Eppure alla quattordicenne di Padova che domenica scorsa si è lanciata nel vuoto mettendo fine alla sua giovane vita, quel gesto deve essere apparso come una soluzione.
Non è solo una storia di solitudine, questa, è più che una storia di solitudine. La ragazza era infatti in pessima compagnia. Già altre volte aveva manifestato le sue intenzioni sulle pagine virtuali del social network Ask.fm e proprio lì aveva incontrato coetanei che l’avevano incitata ad andare avanti, a non desistere dai suoi propositi di annientamento. Era peggio che sola, aveva compagni virtuali che le scrivevano «fai schifo come persona» e «ucciditi». Compagni anonimi, beninteso, perché Ask funziona così: tutti possono dire di tutto senza mostrare la faccia, nascondendosi dietro a uno pseudonimo. C’è la complicità di un certo modo di vivere la rete in questa morte, di alcuni utenti della rete che l’hanno utilizzata per il peggio andando a infierire su una ragazza già fragile e disorientata.
Ieri ricorreva il «Safer Internet Day», la giornata per una rete senza rischi. E proprio di uno scorretto uso di Internet da parte dei giovani si occupa il recentissimo studio che il Moige, il Movimento italiano dei genitori, insieme all’Università Lumsa ha promosso su un campione di circa mille studenti delle scuole elementari, medie e superiori. Sei ragazzi su dieci hanno ammesso di fare sexting (neologismo dato dalla combinazione di sex e texting), ossia di scambiare foto e video on line a sfondo sessuale.
Nove minori su dieci navigano in rete quotidianamente e il 18% afferma di trascorrere on line più di tre ore al giorno (con l’8% dei bambini che hanno meno di dieci anni connessi a internet per più di cinque ore). E a proposito di "compagnie" apprendiamo che il 26% dei ragazzi intervistati ha dichiarato di utilizzare la rete per fare nuove amicizie e che l’8% possiede più amicizie nel web che nella vita reale.
Tale quadro sostanzialmente conferma i dati che sono emersi dall’indagine su «Le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti» della Società Italiana di Pediatria che dal 1997 fornisce un interessante spaccato di vita dei nostri ragazzi. L’ultimo report del 2013, che ha analizzato un campione nazionale rappresentativo di 2.081 studenti frequentanti la terza media, ha documentato che il 69% dei ragazzi si connette ogni giorno a internet e che il 17% ci passa più di tre ore. Inoltre il 79,8% ha un profilo Facebook aperto, il 21,5% ha postato in rete foto e filmati fatti da sé e l’11% ha pubblicato una immagine di sé "provocante".
Se da una parte non possiamo vivere di anacronismi – pensando che i ragazzi non debbano stare in rete e sottovalutando le potenzialità della tecnologia – dall’altra è bene, come adulti, riflettere su ciò che sta succedendo, perché se si verificano certi comportamenti un motivo c’è e vale la pena provare a scoprirlo. I social network possono offrire ad alcuni l’illusione di non essere mai soli, e permettono di non passare per quel buon compromesso, quelle obbligazioni e quelle mediazioni che una relazione reale inevitabilmente chiede.
In Facebook è tutto immediato e in certa misura più facile: posso prendere e mollare un altro con un click, senza dover dare spiegazioni né ragioni, in modo istantaneo. In quel non-luogo che è la rete ci si può anche circondare di soggetti che la pensano esattamente come noi, evitando ogni confronto - spesso costruttivo - con chi la vede diversamente. Si elimina così il contraddittorio, il dibattito, resta solo il consenso. La ricerca di tale consenso assume poi la forma tirannica del pollice su, del "mi piace".
Pur di collezionare il maggior numero possibile di "mi piace" da parte dei propri contatti alcuni diventano disposti a tutto, persino a postare foto e video che non vorrebbero mai veder pubblicate sulla prima pagina di un quotidiano, ma in rete sì, perché in rete si diventa più disinibiti, la mancanza di prossimità fisica risparmia l’impatto diretto con l’altro e il suo giudizio.
Assistiamo pertanto a un grande paradosso: siamo sempre più connessi per sentirci meno soli e contemporaneamente diventiamo sempre più soli. Per alcuni si genera tale circolo vizioso in cui il virtuale presso cui ci si rifugia per scampare alla solitudine diventa il fattore stesso che la promuove. Una volta fatto fuori l’altro reale della relazione, con le sue caratteristiche e i suoi connotati ben precisi, ci si accontenta anche di un altro qualunque, che persino nel pieno anonimato assume una potenza incredibile.
Pensiamo al social network Ask, che proprio dell’anonimato ha fatto la sua ragion di esistere. Come può essere importante il parere su di me da parte di chi non so nemmeno chi sia? Come posso continuare a cercare conferme? Eppure gli iscritti mondiali sono tra i 60 e i 70 milioni, con l’Italia che risulta tra i principali utilizzatori, assieme a Brasile, Turchia e Stati Uniti. Secondo cifre non ufficiali Ask pare frequentato da più di un milione di nostri adolescenti e questo numero è ancora in crescita.
Dimmi se ti piaccio, molti chiedono angosciati a un altro ignoto. Anzi, dimmi che ti piaccio. E se la sua risposta è positiva si esaltano, se negativa si deprimono, fino a forme estreme di scoraggiamento come quelle che poi diventano tristi fatti di cronaca. Ma noi siamo fatti così: non possiamo fare a meno di un altro, non possiamo prescindere dall’altro. Se non c’è - o se attivamente facciamo in modo che non ci sia - lo dobbiamo allucinare o inventare o ricercare dove sembra nascondersi.
L’aiuto ai più giovani, quando ne hanno bisogno, parte proprio da qui, dal recupero del reale, certi della sua potenza e della sua prevalenza sul virtuale. Occorre allora incoraggiare i loro passi nel reale, sostenerli, favorire la loro iniziativa e intraprendenza, mentre talora abbassiamo le loro aspettative anche noi adulti prede di una visione cinica della vita.
E se questo loro movimento fatica ad avviarsi, tocca a noi proporre e offrire prospettive e mete interessanti, luoghi reali dove poter fare esperienza del vantaggio della presenza di un altro con cui trafficare, magari anche litigare, dentro un rapporto che coinvolga tutto il corpo, fatto di sensazioni, movimenti e pensieri. Una volta presente un reale interessante e coinvolgente, il virtuale si metterà senza obiezioni al suo servizio, si sottometterà cosicché non dovremo temere più nulla. Le potenzialità verranno volte alla costruzione, non alla distruzione, e i rapporti, concreti e sensibili, ne potranno beneficiare per il meglio.
«Avvenire» del 12 febbraio 2014

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