01 giugno 2014

Diritto all'oblio, il rischio di un effetto boomerang per il web

La scelta di Google di acconsentire alla possibilità di essere "dimenticati" dal suo motore, apre a scenari del tutto nuovi. Anche potenzialmente pericolosi per il diritto all'informazione. Due esperti ci spiegano perché
di Alessandro Longo
Oggi parte a tutti gli effetti la stagione del diritto all'oblio sul web, con la comparsa del modulo con cui Google permette di esser cancellati dal proprio motore di ricerca. Adesso prepariamoci a viverne le conseguenze, che saranno straordinarie e potenzialmente molto pericolose per il diritto all'informazione, secondo vari esperti. Ma anche gli stessi diritti dei cittadini potrebbero essere deformati da questa nuova possibilità offerta dal motore. Che le conseguenze saranno grandi lo dimostra anche il fatto che Google ha già ricevuto circa mille richieste di cancellazione da parte di cittadini europei. Il tutto, a pochi giorni dalla sentenza della Corte di Giustizia europea a cui ora si adegua con questo modulo.
"Ci stanno arrivando tantissime richieste", conferma l'avvocato esperto di diritti internet Fulvio Sarzana. I cittadini ora possono usare il modulo per chiedere la cancellazione direttamente a Google, infatti, ma alcuni preferiscono ancora passare da un avvocato, come è stato fatto finora, per il diritto all'oblio. È poi l'avvocato a inoltrare la richiesta a Google (adesso, utilizzando il modulo). Un esempio: "una psicologa è perseguitata da un suo ex paziente che ha fatto un blog appositamente per screditarla con notizie attinenti la propria vita sessuale e le frequentazioni da lei avute nel passato. Poiché però il blog è ospitato presso server in Svezia il titolare della piattaforma ha sempre risposto che non poteva fare nulla non trovandosi i server in Italia. Oggi con la nuova sentenza dovrebbe essere possibile risolvere il problema, facendo sparire quella pagina da Google", dice Sarzana.
In Europa, si segnalano casi come quello dell'irlandese Eoin McKeogh che da anni combatte per essere dimenticato da Google, Facebook e Yahoo!. Un utente internet, restato anonimo, l'avrebbe erroneamente accusato di non aver pagato la corsa di un taxi (si tratterebbe in realtà di uno scambio di persona). In Francia, una madre sta cercando da tempo di cancellare foto discinte di sua figlia teenager. In Romania, una donna vuole fare sparire informazioni che riguardano il suo divorzio. Nel Regno Unito, un ex politico vuole eliminare i link a un libro che considera diffamatorio. Un attore vuole far sparire le notizie su una presunta relazione avuta con una minorenne. Un medico cerca di cancellare commenti negativi sul suo operato.
Come si vede, ci sono questioni personali ma anche di interesse pubblico, tutte nello stesso calderone del diritto all'oblio. Una questione complessa, dove non è facile commisurare i diritti della privacy con quelli del pubblico interesse. Ma adesso che Google passerà all'azione, con quel modulo, ogni nodo verrà al pettine e tutta la sua complessità verrà ridotta a una decisione binaria: il link sarà cancellato o conservato, sul motore di ricerca. Decide Big G.
Le conseguenze sono enormi, secondo gli esperti. "Da una parte, è bello che per la prima volta Google dimostri di ascoltare quanto chiede l'Europa, invece di limitarsi a ribadire di non essere soggetta alle nostre istituzioni in quanto soggetto americano", dice Guido Scorza, avvocato esperto di questi temi. "Dall'altra, questa vittoria per l'Europa rischia di diventare una sconfitta. Una società privata farà da arbitro nel decidere quando prevale la privacy e quando il diritto all'informazione, su cose che riguardano tutti noi. Un aspetto su cui solo i Garanti privacy o i giudici dovrebbero decidere". Per esempio, per Google non sarà facile decidere quando un personaggio è pubblico o sono di interesse pubblico le informazioni che lo riguardano e quindi non hanno diritto all'oblio. Il rischio di decisioni affrettate è comunque presente, viste le migliaia di richieste che verranno gestite. Non solo, ci sono anche effetti collaterali poco chiari: "se la pagina rimossa da Google contiene dati di terzi, anche questi saranno condannati all'oblio", dice Scorza.
Secondo Scorza e Sarzana, uno dei rischi più gravi lo corre il diritto all'informazione, giornalistica e non solo. Alcuni, anche in Italia, già vogliono usare lo strumento di Google contro articoli di giornale, come scorciatoia low cost rispetto all'azione giudiziaria. Google potrebbe insomma di fatto rendere invisibile su internet un articolo prima che un giudice possa esprimersi sul suo essere (o no) diffamante. Il motore si sostituirebbe insomma alla magistratura, calpestando diritti costituzionali.
"Teniamo conto di un paradosso: adesso c'è il diritto all'oblio, ma non alla reindicizzazione del contenuto. Anche una grossa testata, insomma, non ha diritto di chiedere a Google di rendere di nuovo visibile un articolo", dice Scorza. Concorda Sarzana: "Il modulo di Google ha un grosso problema: non prevede un contraddittorio con il sito oggetto della richiesta. Si rischia così di diventare invisibili su internet senza poter dire la propria".
Immaginiamo anche scenari più particolari. Un normale cittadino chiede il diritto all'oblio per un fatto che può ledere la sua reputazione, ma di scarso interesse pubblico: ha scritto frasi misogine o razziste, per esempio. Quindi Google acconsente. Passa qualche anno e il cittadino si candida alle elezioni. Gli utenti non potranno più sapere, comunque, quelle informazioni su di lui.
Ci possono essere inoltre conseguenze paradossali: "Google dice che si occuperà solo di siti della comunità europea. Allora potrebbe nascere un sito a S. Marino che dirà tutto quello che altrove non è ricercabile", ipotizza Sarzana. vInfine, il diritto all'oblio potrebbe essere un boomerang contro la stessa persona che l'ha richiesta. "Tra i risultati della ricerca, comparirà una scritta d'avviso che alcuni di quelli sono stati rimossi in nome al diritto d'oblio. Un po' come fa già ora Google per i siti che violano il copyright", dice Sarzana. Immaginiamo un datore di lavoro che faccia una ricerca su un candidato e veda apparire questo avviso. Potrà immaginare cose anche più gravi di quelle effettivamente eliminate: a volte il dubbio genera sospetti più gravi della trasparenza.
Insomma, adesso Google - spinto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE - sarà chiamato a tagliare con l'accetta una questione molto complicata. Con effetti che vedremo presto, ma che potrebbero essere devastanti per il web, per i singoli e per i diritti collettivi.
«la Repubblica» del 30 maggio 2014

Nessun commento: