15 luglio 2014

Addio ginnasio: a questo mondo non servi più

Imparavi ad amare storia e letteratura e ti facevi bello con le citazioni. Però non ti preparava ai problemi veri. D'ora in poi il classico diventa un liceo come gli altri
di Mario Cervi
Addio ginnasio. Così è stato deciso in attuazione della riforma scolastica varata dal ministro dell'Istruzione del governo Berlusconi, Mariastella Gelmini.
D'ora innanzi - pur con le resistenze e le esitazioni che accompagnano ogni novità italiana - gli anni di studio precedenti il liceo classico saranno indicati con due termini che immaginarli più asettici e burocratici non si può: biennio e triennio. Forse è giusto così. Forse questo cambio di nome era inevitabile in un tipo di società e di cultura il cui distacco dalla società e dalla cultura della quale il ginnasio era premessa appare enorme.
Non mi pronuncio sulla validità didattica della riforma, mancandomi la competenza necessaria. Voglio soltanto dedicare a quel ginnasio d'antan il ricordo d'uno che in tempi remotissimi l'ha vissuto tutto, cinque anni filati prima che venissero ridotti, se ben ricordo, a due. Aggiungerò, come si addice a un malinconico amarcord, qualche notazione personale. Il mio ginnasio era il milanese Parini, ma essendo in corso la costruzione dell'edificio che tuttora lo ospita, per i primi due anni fummo ospiti del collegio Longone che aveva sede là dove adesso è la Questura. Sì, il ginnasio era una delle travi portanti di quell'istruzione che ha avuto e tuttora ha molti critici, e che crescendo avrebbe un giorno conosciuto - bene o male che sia - internet e le email. I fautori d'una modernità anche un po' sgangherata possono dire - non senza valide motivazioni - che quella in cui tanti di noi si formarono era una cultura dell'inutile. Tantissime cose che ho studiato e imparato mi sono servite, nella vita, solo per adornare un ragionamento con qualche citazione. Eravamo saputelli, noi ginnasiali preistorici, ci vantavano di sapere - forse l'ho già scritto - che il figlio di Ettore e Andromaca si chiamava Astianatte. Il che non serve assolutamente a nulla. Oppure, secondo i superstiti difensori della classicità scolastica, serve ad affinare la mente. Peraltro spesso e volentieri molto impreparata di fronte alle decisioni concrete e ai problemi veri.
Nel suo aspetto deteriore quella classicità degenerava verso l'azzeccagarbuglismo di certe lauree in Legge, nel suo aspetto migliore produceva gli insegnanti che mi onoro d'avere avuto. Professori di ginnasio d'altissimo livello culturale, che cercavano di trasmettere agli studenti - e non di rado ci riuscivano - il loro amore per la letteratura e per la storia (per non parlare dei professori di liceo che erano personalità di livello internazionale). Lo so, tutto questo può apparire vecchiume e probabilmente lo è. Altri sono gli strumenti anche scolasticamente necessari, nella visuale odierna. Un buon portiere d'albergo poliglotta - preciso che per la categoria dei portieri d'albergo ho la massima stima - vale più d'un grecista che si è macerato su testi millenari. Tutto sommato, lo scrivo con rammarico e con rimpianto, il ginnasio ha meritato la ghigliottina decapitatrice. Era un simbolo dell'umanesimo (purtroppo adulterato da troppi che l'umanesimo lo ostentano pur non possedendone traccia). Nell'Italia in cui per la soluzione di un problema si parla di quadra riuscita e in cui furoreggia il linguaggio dei Salvini e dei grillini il vecchio ginnasio non è più bene accetto.
«Il Giornale» del 15 luglio 2014

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