23 luglio 2014

Diritto naturale e ragione, non ideologia

Il dibattito, oggi viziato, sulle unioni gay
di Francesco D'Agostino
Il cattolico – così si dice da parte di molti – è colui che non accetta né il divorzio, né l’aborto. Questa formula viene ormai da molti integrata con un terzo 'no': il cattolico è colui che dice di 'no' anche al matrimonio omosessuale. È davvero così? Certo che è così. Però, aggiungerebbe un cattolico dotato di un minimo di consapevolezza, il mio 'no' al divorzio, all’aborto, al matrimonio omosessuale non ha carattere confessionale. Anche chi non creda in Dio, ma sia in grado di riflettere sul diritto naturale, cioè su quella legge che vale in ogni epoca e per ogni popolo, può col buon uso della sua ragione giungere a comprendere che il matrimonio è intrinsecamente indissolubile, che l’aborto è uccisione di un’autentica vita umana, che il matrimonio omosessuale è una contraddizione in termini, che deforma la finalità generativa delle nozze.
Infatti, nei grandi dibattiti che si sono avuti in Italia all’epoca dell’introduzione del divorzio e della legalizzazione dell’aborto i cattolici non hanno usato mai argomenti biblici, magisteriali, religiosi, dogmatici, confessionali: hanno sempre fatto riferimento alla comune e universale ragione umana e sono scesi in campo, contro i divorzisti e gli abortisti, accanto a non pochi 'laici' convinti come loro che in queste, così come in tutte le questioni etiche fondamentali, l’appello alla fede è superfluo. È un fatto, però, che la dura sconfitta nei due referendum su divorzio e aborto è stata interpretata come una sconfitta dei cattolici e che questa interpretazione si è ormai definitivamente cristallizzata (anche nella mente dei cattolici stessi). Non c’è quindi bisogno di essere profeti per prevedere che i dibattiti che diventeranno cocenti nei prossimi mesi sulla legalizzazione delle convivenze omosessuali, che si vorrebbe completamente parificate a quelle coniugali (vengano o no definite 'matrimonio') vedranno ancora una volta schierati (mediaticamente) i 'cattolici' contro i 'laici'. Nelle truppe cattoliche verranno arruolati alcuni pochi laici 'tradizionalisti' (!) e in quelle laiche verranno arruolati alcuni cattolici 'contestatori' (!). Ancora una volta emergerà la vecchia e stantia contrapposizione tra i laici illuminati e razionali e i cattolici bigotti e dogmatici. Ancora una volta toccheremo con mano lo stesso paradosso che si manifestò all’epoca dei dibattiti sul divorzio e sull’aborto. I cattolici non saranno ascoltati, pur sforzandosi di mostrare il fondamento razionale delle loro posizioni e riuscendoci anche brillantemente (chiedendo, senza timore, aiuto alla scienza e alle sue inoppugnabili dimostrazioni che fin dalla fecondazione di un ovocita ci troviamo davanti a un nuovo individuo umano). I laici, invece, già in passato ottennero un ascolto ben più ampio, pur ricorrendo a poco dignitosi trucchi lessicali (parlando di 'cessazione degli effetti civili del matrimonio', anziché di 'divorzio' o di 'interruzione volontaria della gravidanza' anziché di 'aborto') e facendo uso di argomentazioni fragilissime e mistificanti (come la costruzione, del tutto ideologica, del cosiddetto 'aborto terapeutico').
Il vero sconfitto, nei grandi dibattiti etici degli ultimi decenni non è stato il cattolicesimo, ma il diritto naturale. Il vero vincitore non è stato l’illuminismo razionalistico, ma l’ideologia. È ben probabile che avverrà la stessa cosa nei dibattiti sul matrimonio gay: la 'ragione' (storica, biologica, culturale) del matrimonio eterosessuale verrà marginalizzata o addirittura esclusa dal dibattito della società civile e al suo posto trionferà l’ideologia, che imporrà il matrimonio omosessuale facendo appello a non meglio precisati 'nuovi diritti civili' e alla tutela dell’'affettività'. Quanto più acquisteranno consapevolezza di tutto questo, tanto più i cattolici potranno partecipare – come su queste colonne si fa già da tempo – nel modo giusto a questo dibattito. E il modo giusto, scontando il rischio di nuove sconfitte, è uno soltanto: quello di non lanciare anatemi, ma amare il mondo, continuando a rivendicare un buon uso della comune ragione umana (cioè del diritto naturale o, se si preferisce, in termini cristiani dell’ordine della creazione). Al di là di questa rivendicazione non c’è alcuno spazio di comunicazione morale tra gli uomini, perché quando si abbandona il sentiero della ragione resta aperto solo il pericolosissimo sentiero dell’ideologia, che è mancanza di rispetto verso la verità e degrado nel fanatismo.
«Avvenire» del 5 luglio 2014

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