15 luglio 2014

Perché bisognava fermare i tedeschi

Per i britannici neutralità inattuabile, Roma doveva astenersi
di Max Hastings *
La causa dell’Intesa era giusta Londra non poteva accettare un’Europa dominata dal Kaiser
I britannici hanno sempre avuto un’idea molto chiara di quanto è avvenuto nella Seconda guerra mondiale. Sulla Prima guerra mondiale le idee sono però molto più nebulose, anzi del tutto confuse. Perfino tra le persone colte, poche conoscono le cause della conflagrazione che travolse l’Europa. La convinzione più diffusa — condivisa da alcuni romanzieri e perfino da alcuni storici — è che il conflitto fu soltanto un terribile errore, la cui colpa ricadeva su tutte le potenze europee, e la sua follia fu aggravata dalla bestiale incompetenza dei capi militari. Lo definirei il «punto di vista dei poeti»: in mezzo al fango e al sangue, sentivano che nessuna causa poteva valere il massacro; meglio porvi fine a qualsiasi prezzo, piuttosto che continuare a inseguire una vittoria insensata.
A mio parere l’Italia avrebbe fatto molto meglio a restarne fuori, invece di unirsi alla lotta nel 1915. La Gran Bretagna invece non avrebbe potuto restare neutrale, permettendo alla Germania di assicurarsi l’egemonia sul continente. Qualche anno fa lo storico sensazionalista Niall Ferguson scrisse con la massima serietà che una vittoria tedesca nella Prima guerra mondiale avrebbe soltanto creato un’entità simile all’Unione Europea con mezzo secolo di anticipo, e i britannici avrebbero potuto restare spettatori. Per alcuni questa opinione suona alquanto sciocca; storici più seri, compresi alcuni tedeschi, considerano il Reich del Kaiser Guglielmo II un’autocrazia militarizzata, la cui vittoria sarebbe stata un disastro.
La civiltà occidentale ha quasi altrettanti motivi di essere grata per la vittoria alleata del 1918 quanti ne ha per quella del 1945. Non entrerò nel dettaglio degli eventi dell’estate del 1914, ma ne fornirò un riassunto. Il 28 giugno l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austro-ungarico, fu ucciso da un giovane terrorista serbo-bosniaco, cittadino asburgico. Gli uomini al governo dell’Austria videro nell’oltraggio un pretesto ideale per regolare i conti con la Serbia, un vicino sempre turbolento: alcuni ufficiali dell’esercito serbo avevano fornito le armi per l’attentato, benché io creda improbabile il coinvolgimento del governo di Belgrado.
Un aspetto del 1914 sembra incomprensibile alla nostra generazione: la maggior parte delle nazioni europee considerava la guerra non uno spaventoso orrore da evitare a ogni costo, ma uno strumento politico a cui era lecito ricorrere. Sono possibili molte interpretazioni sul modo in cui si arrivò al conflitto, ma l’unica ad apparire insostenibile è che fu dovuto al caso. Ogni governo ritenne di aver agito in modo razionale. Nei primi giorni di luglio l’Austria decise di invadere la Serbia. Questa nazione slava godeva della protezione dello zar, quindi Vienna inviò a Berlino un ambasciatore per assicurarsi l’appoggio tedesco nel caso di un’interferenza russa; il 6 luglio il Kaiser Guglielmo II e il suo cancelliere diedero agli austriaci quello che gli storici definiscono l’«assegno in bianco»: una vaga promessa di sostegno diplomatico, e se necessario militare, per schiacciare la Serbia. Si trattò di un’incredibile leggerezza. Alcuni storici moderni hanno proposto elaborate argomentazioni a discolpa della Germania, ma sembra impossibile evitare questa indiscutibile verità: il governo del Kaiser sottoscrisse la decisione austriaca di scatenare una guerra balcanica, e ciò condizionò ogni azione degli alleati dell’Intesa.
Secondo ogni indicatore economico, la Germania stava superando Gran Bretagna, Francia e Russia; se non fosse entrata in guerra nel 1914, sono convinto che nell’arco di una generazione avrebbe dominato l’Europa con mezzi pacifici. Il Kaiser e i suoi generali, però, misuravano la forza contando soldati ed erano ossessionati dalla crescente potenza militare della Russia. Proprio questa prospettiva spinse Helmuth Johann von Moltke, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, ad affermare durante una riunione strategica segreta del dicembre del 1912: «Guerra; e prima è meglio è».
Considerando quanto avvenne nel 1914, sono sempre più spinto ad accettare questa semplice verità: nessuno storico degno di questo nome pensa che britannici, francesi o perfino russi desiderassero un conflitto europeo; i tedeschi invece, se non una guerra di così ampie dimensioni, di sicuro ne volevano una balcanica, causa però di tutto quanto accadde in seguito, che avrebbero potuto evitare a luglio imponendo agli austriaci di fermarsi. Per tale motivo, nonostante nessuna singola nazione meriti di portare tutta la responsabilità del disastro iniziato nel 1914, a mio parere questa deve ricadere soprattutto sui tedeschi.
Alcuni storici, pochi, sostengono che la Gran Bretagna avrebbe potuto restare neutrale nel 1914 e raggiungere così una grande prosperità. Ma difficilmente la sete di dominio della leadership tedesca sarebbe stata placata dalla vittoria che quasi di certo avrebbe ottenuto grazie alla neutralità britannica. Il regime del Kaiser non entrò in guerra con un grandioso progetto per il dominio mondiale, ma i suoi capi intravidero presto nuove possibilità di ricompense da esigere dagli Alleati in cambio di un armistizio.
Il 9 settembre 1914, quando Berlino ritenne imminente la vittoria, il cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg stilò un elenco di richieste. La Francia doveva cedere alla Germania tutti i suoi depositi di minerale di ferro, la regione di frontiera di Belfort, una striscia di costa da Dunkerque a Boulogne dove insediare veterani tedeschi, e le pendici occidentali dei Vosgi; le sue fortezze strategiche andavano demolite e dovevano essere pagati enormi risarcimenti in denaro. Il Lussemburgo sarebbe stato direttamente annesso, il Belgio e l’Olanda trasformati in Stati vassalli; le frontiere della Russia drasticamente ridimensionate, un vasto impero coloniale creato nell’Africa centrale, insieme con un’unione economica tedesca estesa dalla Scandinavia alla Turchia.
Machiavelli osservava che le guerre iniziano quando vuoi, ma non finiscono quando ti piace. Fra il 1914 e il 1918, quale governo alleato responsabile avrebbe potuto concedere una pace come quella pretesa dalla Germania? È ancora difficile capire come, una volta iniziato il conflitto, gli statisti alleati avrebbero potuto tirarsene fuori prima che ne fosse deciso l’esito sul campo di battaglia. Si è permesso che il «punto di vista dei poeti» distorcesse drasticamente la percezione moderna. Mentre la Prima guerra mondiale fu una catastrofe indicibile per l’Europa, è un errore considerarla futile, almeno da una prospettiva britannica.
Nei primi anni Venti la storia della Grande guerra fu soppiantata dal dibattito fra i suoi critici. Costoro furono molto influenzati dall’economista John Maynard Keynes, un fervido simpatizzante dei tedeschi, il quale condannò aspramente l’ingiustizia del trattato di Versailles del 1919, senza peraltro prendere in considerazione per un attimo la pace capestro che sarebbe stata imposta da una Germania vittoriosa.
Fra l’avversione di molti europei occidentali nei confronti della Prima guerra mondiale e il loro trionfalismo riguardo la Seconda c’è un contrasto stridente, e decisamente esagerato. Nessuna persona sensata potrebbe suggerire che quest’anno dovrebbe diventare un’occasione per celebrare il conflitto o la vittoria, ma mi piacerebbe sperare che i politici e i media si libereranno dagli stanchi e sterili cliché sulla inutilità di questa guerra e riconoscessero che la Germania del 1914 rappresentava una forza malvagia, il cui trionfo doveva essere impedito. Tutte le morti in ogni guerra sono motivo di compianto, ma l’unica alternativa credibile all’enorme sacrificio compiuto dagli Alleati sarebbe stato il prevalere delle forze della tirannia.
* (traduzione di Patrizia Vicentini e Lorenza Lanza)
«Il Corriere della Sera - Suppl. La lettura» dell'11 giugno 2014

Nessun commento: