15 luglio 2014

Progetto Domus Aurea

di Andrea Carandini
Nerone, ultimo grande aristocratico a diventare principe dell'Impero, è stato il più stravagante. Chi ne ha dato un'interpretazione meno perversa non ha letto Decline and Fall of British Aristocracy di D. Cannadine, dove si apprende cosa possono diventare i nobili quando dominano un mondo.
Tra tante sindromi, Nerone è stato affetto della cupido iungendi. Tra le domus Augustiana e Tiberiana sul Palatino (Palatium) – sede ufficiale del potere imperiale – e gli Horti di Augusto sull'Esquilino si interponeva una rilevante e fastidiosa porzione di centro storico. Nerone ha preteso congiungere le due proprietà tramite una domus intermedia, che per questo ha chiamato Transitoria, di difficile attuazione: la città era di intralcio. Nel 64 d.C. è giunto provvidenziale il massimo incendio, di cui sono stati incolpati i Cristiani (di qui il martirio di Pietro e Paolo). Così su Velia, Oppio e Celio distrutti ed espropriati da questa fine del mondo il principe ha potuto edificare la domus Aurea, senza difficoltà alcuna: come non ritenerlo colpevole?
Comprendeva due enormi residenze di forma compatta, immerse in campi, vigneti, boschi, pascoli e specchi d'acqua, una per uso pubblico e una strettamente privata (due residenze analoghe comprendeva anche la domus Augustiana). Era come se Luigi XIV avesse edificato Versailles dentro Parigi! Si trattava di due quinte architettoniche, lunghe e strette, che somigliavano, più che ai palazzi compatti del Palatino, alle villae lungo il mare tra Lazio e Campania. Per attuare questa invenzione da megalomane, che occupava 44,3 ettari di Roma, Nerone ha depredato l'Impero.
Alla residenza principale, per uso pubblico, si perveniva tramite la Sacra via – trasformata in viale fiancheggiato da portici, largo venti metri. Dove era stata sul monte Velia la casa dei Domizi Enobarbi – la famiglia paterna del principe – Nerone ha costruito un gigantesco vestibulum, quadriportico al centro del quale doveva sorgere il colossus di Nerone-Sole (ci vorranno 11 anni per realizzarlo). Esso introduceva nella residenza lunga e stretta come una villa di Baia – gli atria di Marziale –, incentrata probabilmente su una cenatio principalis rotunda, la cui cupola emisferica ruotava come il cielo: un enorme planetario. È questo il complesso analiticamente descritto da Svetonio, rivestito d'oro, gemme e madreperla. Gli atria si affacciavano su uno stagnum rettangolare, mare che doveva ospitare imbarcazioni simili a quelle di Caligola rinvenute nel lago di Nemi. Il lago era circondato sugli altri tre lati da edifici di servizio: la città in miniatura per i servizi di corte.
Il complesso era il set in cui Nerone offriva al popolino festini, un tempo riservati soltanto ai nobili. Desiderava fondersi con la gente comune, come tanti tiranni e demagoghi , di cui è diventato il prototipo. Per questi ricevimenti serviva la porticus triplex lunga un miglio, distribuita probabilmente tra vestibulum, atria e stagnum. È facile immaginare Nerone e amici banchettare al sicuro in un naviglio al centro del lago, come già aveva fatto in Trastevere e in Campo Marzio, regista Tigellino. Applaudivano e acclamavano d'intorno gli Augustiani, guardia alloggiata nelle caserme intorno al lago. Siamo al culmine della politica-spettacolo nel mondo antico e bisognerà attendere più di 1600 anni per riavere qualcosa di simile, che in parte dura ancora. Di questo complesso, completato da Otone, Vespasiano salverà solo il vestibulum, dove nel 75 d.C. erigerà il colossus del Sole finalmente completato, distruggendo invece atria e stagnum per dare spazio al Colosseo e alla sua piazza. La reggia spropositata è durata solamente sei anni.
La domus Aurea disponeva di una seconda residenza, sull'Oppio, a carattere strettamente privato, anch'essa di forma lunga e stretta. Una unica facciata mascherava due edifici: il primo a ovest, intorno a un triportico, che era appartenuta alla domus Transitoria (56-64 d.C.) – unica sua parte sopravvissuta all'incendio – e il secondo a est, che rientrava nella domus Aurea (64-68 d.C.), dall'architettura assai più fantasiosa. Il corpo centrale includeva su due piani gli appartamenti imperiali. Era fiancheggiato da due corti pentagonali aperte sul fronte, dotate di appartamenti secondari. Ai piedi della residenza era lo xystus, una pista lunga e stretta per correre, oltre la quale era un lungo edificio di servizio, che aiuta a immaginare quello disposto intorno al lago dell'altra residenza.
Questa seconda reggia, durata quarant'anni, è la sola a essere sopravvissuta, ed è quella che patisce danni a pitture e stucchi da quasi duemila anni. Infatti è stata incendiata (104 d.C.), il piano superiore è stato rasato e il tutto è finito sotto il giardino delle Terme di Traiano (109 d.C.), finite a loro volta sotto quello che è oggi il Parco dell'Oppio. Da allora radici, piogge e fori in cui sono penetrati gli artisti del Rinascimento – scoprendo e reinventando i "grotteschi" – hanno lentamente consunto gli ambienti decorati, già perfettamente conservati dalla sepoltura voluta da Traiano: il Vesuvio di questa Pompei romana.
Si è continuato per troppo tempo a restaurare le pitture quando da sopra pioveva, che è come ridipingere il pianterreno di casa quando il tetto è bucato. Ma ora si apre una più assennata stagione. Presupposto è stato consolidare il piano terreno, risarcendo i laterizi asportati, ma ora resta tuttavia da intraprendere l'operazione più costosa, rischiosa ed essenziale. Essa implica: a) asportare la terra sovrastante delle Terme e del Parco; b) mettere in luce il piano superiore, possibilmente da lasciare praticabile almeno per visite guidate; c) coprire e drenare questo piano superiore per evitare i danni atmosferici, conservando all'interno il grado di umidità che le sottostanti decorazioni richiedono; d) rivestire la copertura con un prato per conservare l'amenità del Parco dell'Oppio (isolare il monumento e ricoprirlo nuovamente di terra è impossibile, perché gli isolanti non durano oltre un certo tempo).
Specialmente interessante è il corpo centrale della residenza, dove erano gli appartamenti imperiali, divisi tra l'appartamento di monsieur e quello di madame. Al piano terreno essi sono separati dalla grande cenatio pentagonale – non sembra la cenatio rotunda di Svetonio –, con salone principale, quattro triclini minori e un ninfeo. Gli appartamenti sono composti da un cubiculum con alcova per il letto e da una saletta o oecus. Sul retro buio sono appartamenti e stanze di servizio. Al piano superiore i due appartamenti imperiali si aprivano invece su un terrazzo triangolare, dove si poteva banchettare anche all'aperto, con vista sul teatrale ninfeo che ornava il retro del Tempio del Divo Claudio (il più grande monumento di Roma del tutto sconosciuto). Essi sono composti da cubicula, oeci, exedrae, piccoli peristili e corridoi. Dietro a essi erano due portici per passeggiare e una lunga piscina, che nutriva la cascata per il sottostante ninfeo. Se la cenatio al piano inferiore rappresenta la sala più importante, gli appartamenti di sopra svelano il modo di vista più intimo e piacevole del principe, per cui sarebbe importantissimo dar loro valore.
Privati e aziende italiane, partecipando al restauro, ai servizi e al racconto di questa meraviglia di Roma, potranno avvalersi del nuovo vantaggio fiscale da poco varato. Così renderanno sé stessi famosi nel mondo e compiranno un atto di straordinaria pubblica liberalità. La residenza della domus Aurea sull'Oppio potrà rappresentare un'attrazione culturale pari a quella del Colosseo, nell'anello superiore del quale potrebbe essere illustrata l'altra residenza, conservata solo per indizi, oltre la storia dell'anfiteatro stesso. Raccontare i propri monumenti non è la missione universale che la storia ha assegnato all'Italia?
«Il Sole 24 ore» del 10 luglio 2014

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