09 agosto 2014

Cari ragazzi, d'estate meglio leggere i classici

La discussione
di Roberto Carnero
Negli ultimi anni si è diffusa l’abitudine, da parte degli opinionisti letterari e dei giornalisti culturali, di criticare, magari a partire da quanto vedono nell’esperienza dei figli propri o di coppie amiche, le scelte degli insegnanti in merito ai libri da assegnare in lettura ai ragazzi come 'compiti per le vacanze'. Di recente sono intervenuti sull’argomento prima Paolo Di Paolo sulle pagine della 'Stampa' e poi Paolo Di Stefano dalle colonne del 'Corriere della Sera'. Ci si lamenta che da trenta-quarant’anni il canone delle letture estive imposte dai professori sia sempre lo stesso: Il fu Mattia Pascal di Pirandello, La coscienza di Zeno di Svevo, Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino eccetera. Il motivo sarebbe la mancanza di fantasia e, cosa ancora più grave, di aggiornamento culturale negli insegnanti.
Peccato che a questi accusatori del corpo docente non venga in mente che magari si fanno leggere d’estate proprio le opere maggiori degli autori del Novecento previsti in maniera prescrittiva dalle indicazioni ministeriali (gli ex famigerati 'programmi'), quelle opere che durante l’anno scolastico gli studenti, concentrati sullo svolgimento del percorso storico - letterario, non riescono a leggere integralmente, perché mancano loro il tempo e la concentrazione necessari.
Del resto l’estate - anche un’estate bislacca dal punto di vista meteorologico come questa - è davvero il momento più adatto per la lettura dei classici. In vacanza si danno le condizioni migliori per affrontare l’elevata mole di pagine e anche la complessità culturale di certi libri fondamentali. Non solo quelli che abbiamo citato (che non sono poi così voluminosi), ma anche, poniamo, i grandi romanzi del realismo ottocentesco: Il conte di Montecristo di Dumas, I miserabili di Hugo, Delitto e castigo di Dostoevskij, Guerra e pace di Tolstoj. Ho fatto personalmente la prova con i miei studenti, ed è stato quasi sempre un successo.
Non si creda però che la scuola italiana di oggi sia il luogo dove si propinano classici a tutto spiano. Anzi, in anni recenti si è assistito a una graduale erosione del 'canone scolastico'. E qui non parlo delle letture estive, ma degli autori presenti nei manuali. Ad esempio, lo spazio riservato a Carducci, un tempo assai presente, si è ridotto drasticamente: peccato, perché il valore storico-documentario dei suoi testi è enorme, e pure quello stilistico non è trascurabile. Ma anche autori delle epoche precedenti non godono di buone fortune. Stranamente ciò accade ad alcuni degli scrittori più innovativi dal punto di vista ideologico e formale: per esempio, nella letteratura italiana del Settecento, a Parini, che pure conduce una spietata critica sociale alla 'casta' di allora (la nobiltà parassitaria), e ad Alfieri, che con la sua Vita ci ha dato la prima autobiografia moderna. Ecco, francamente credo che sarebbe molto più formativo per un adolescente leggersi in vacanza la Vita di Alfieri che non l’ultimo romanzetto di qualche scrittorucolo à la page.
Su una cosa, però, do ragione a Di Paolo e Di Stefano: la necessità che gli insegnanti giungano a trattare la produzione letteraria del secondo Novecento. In molte scuole i programmi di letteratura svolti nell’ultimo anno (quello della maturità) arrivavano a Ungaretti e Pirandello e, se va bene, a Montale. Però questo importante lavoro di avvicinamento alla contemporaneità, essenziale per consentire ai giovani di comprendere il presente, non va svolto necessariamente d’estate, senza la guida dell’insegnante: si può fare seriamente, e con comodo, al rientro dalle vacanze.
«Avvenire» del 5 agosto 2014

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