09 agosto 2014

I libri delle vacanze. Come imparare a odiare i classici

Alla fine dell’anno scolastico i professori assegnano le letture secondo un «canone» immutabile che privilegia autori del ’900: perché non cambiare?
di Paolo Di Paolo
Questo articolo è stato commentato da Paolo Di Stefano (22 luglio 2014) e da Roberto Carnero (5 agosto 2014)

C’è un fenomeno curioso che si ripete intorno al solstizio d’estate, ma non riguarda l’astronomia. A giugno, nelle classifiche dei libri più venduti – solitamente prive di sorprese – si affacciano regolarmente tre o quattro titoli di Italo Calvino, sempre gli stessi, e Se questo è un uomo di Primo Levi. Che succede? Niente di speciale: letture consigliate (o imposte) dalla scuola per le vacanze. Se compaiono fra i best-seller, è segno che la scelta degli insegnanti italiani è di massa: la trilogia degli Antenati – Il barone rampante, Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente – e il grande e terribile romanzo testimoniale di Levi sulla Shoah costituiscono da più di quarant’anni le punte del canone scolastico.
Non sarà arrivata l’ora di aggiornarlo? Suggerire una lettura agli adolescenti è una responsabilità: quando si azzarda, si corrono parecchi rischi. Come ha dimostrato nei mesi scorsi il caso Mazzucco – al liceo Giulio Cesare di Roma sollevò un vespaio la scelta del romanzo Sei come sei, storia d’amore omosessuale – è facile urtare la sensibilità dei ragazzi e ancor più delle famiglie. Oltre a quella, naturalmente sempre viva, degli ipocriti. Ma bisogna mettersi nei panni dei professori: condizionati dalla missione pedagogica, cercano testi, se non rassicuranti, sicuramente non ambigui, rodati da una lunga tradizione di lettura. In una parola, inattaccabili.
Dopo il 1865, a ogni libro che entrasse in aula doveva essere riconosciuta l’«utilità per le scuole». La discussione sul canone era accesa; la triade ideologico-pedagogica a cui ispirare le scelte, solenne: Dio Patria Famiglia. Nomi di autori che oggi non ci dicono più niente – Pandolfini, Alberti, Segneri, Lambruschini, Abba – erano considerati essenziali per illustrare ai ragazzi le virtù della famiglia e il buon costume. L’accigliato Girolamo Tagliazucchi pubblicò nel 1882 un saggio intitolato Della maniera d’ammaestrare la gioventù nelle umane lettere, nel quale invitava a sottoporre agli studenti soltanto opere «nette da ogni scostumatezza». La Mazzucco non sarebbe stata ammessa. Sembrano toni arcaici, ma non è così: la sfortuna postuma di Alberto Moravia non è forse dovuta al suo mancato ingresso nel canone scolastico? Troppo sesso. Per fortuna ci pensano gli americani a rivalutare un autore omaggiatissimo in vita e poi accantonato. La rivista «Publishers Weekly» ha inserito nella sua lista di consigli per l’estate 2014 Agostino in una nuova traduzione inglese. Cento pagine perfette, assicura la rivista – ed è vero. Il libro di Moravia ha settant’anni esatti – uscì nel ’44 – ma non li dimostra, e dubito che questa storia di iniziazione sessuale, tutto sommato casta, possa turbare un giovane lettore di oggi.
Sarebbe tuttavia sciocco ridurre il discorso del canone scolastico a una questione di rossori e pruderie. C’è in gioco molto altro. Compresa una domanda sibillina: a uno scrittore, entrare nel canone scolastico fa bene o fa male? Si direbbe faccia bene, giudicando dai numeri. Lavorando sui dati di circa 400 librerie indipendenti italiani, un giovane studioso, Gabriele Sabatini, ha fatto alcune scoperte interessanti. Se nel 2012, in proiezione, Agostino di Moravia aveva venduto intorno alle 2 mila copie, Il barone rampante di Calvino ne aveva vendute oltre 21 mila. È l’effetto compiti delle vacanze, confermato dal fatto che un libro fuori dal canone scolastico come Palomar ha venduto molto meno. Il povero Gadda dell’ardua Cognizione del dolore si ferma sotto le 2 mila copie annue. Certo è che la consacrazione sui banchi non ha solo effetti positivi: inevitabilmente porta con sé una patina istituzionale, un po’ grigia, che rischia di trasformare anche il più godibile dei romanzi in un obbligo indigesto. Accade così che, usciti da scuola, si pensi a Calvino come a un autore per ragazzi e all’opera di Primo Levi come qualcosa di inavvicinabile. Assegnare Se questo è un uomo per l’estate è un errore: senza un sostegno, una guida, una discussione, è tutto tranne che una lettura da fare a sedici anni, di corsa e svogliatamente, negli ultimi giorni di vacanza. Non si potrebbe osare di più? Fare una sorta di assemblea di classe a inizio giugno, scegliere insieme agli studenti da una rosa di titoli meno prevedibile. Oppure organizzare una spedizione in libreria dei singoli ragazzi: che siano loro a proporre. E ancora: siamo sicuri che d’estate gli studenti debbano leggere esclusivamente narrativa? E se scegliessero un saggio su un tema che li appassiona? Un saggio scientifico, filosofico, un testo giornalistico; qualunque cosa – in formato digitale, volendo – che metta in moto il pensiero e tenga la lingua allenata non solo per i baci.
Il vecchio e sterile slogan sul «piacere della lettura» non ha nessun effetto: è ora di abbandonarlo, e di concentrarsi sulle ragioni per cui vale la pena leggere. Non in generale, ma in particolare: quel libro, quel testo, quell’autore. Ricominciamo dai perché più infantili. Se ai professori chiedessimo perché leggere Il barone rampante, saprebbero dare risposte convincenti? Ripartiamo da lì, e i ragazzi a settembre tornino in classe senza riassunti e commenti. Pronti solo a contraddire o a confermare quei «perché», e magari – sarebbe una sorpresa – a proporne di nuovi.
«La Stampa» del 2 luglio 2014

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