12 ottobre 2014

Benson, apologia da romanzo

Cento anni fa moriva l'autore del «Padrone del mondo». Figlio del primate anglicano, divenne cattolico e prete
di Lorenzo Fazzini
Negli
Pochi anni di vita (solo 43: nato nel 1871, morì un secolo fa, il 19 ottobre 1914), ancor meno quelli da scrittore (10, dal 1904 alla prematura scomparsa), 15 romanzi; un vero, grande capolavoro, Il padrone del mondo (disponibile in due edizioni italiane, quella 'storica' di Jaca Book e quella di Fede & Cultura, che ne sta riproponendo diversi titoli).
Robert Hugh Benson oggi non è in cima alle classifiche, ma a suo tempo furoreggiava come autore di bestseller: «I miei libri stanno vendendo bene, gli editori mi stanno offrendo termini sempre più vantaggiosi» confidava a un amico sul finire della vita. Qualche cifra? La luce invisibile, scritto sulla soglia del passaggio al cattolicesimo, aveva già venduto 5 mila copie (siamo agli inizi del Novecento) quando Con quale autorità?, romanzo storico sullo scontro tra cattolici e anglicani nel ’500, raggiunse la IV edizione e Vieni ruota! Vieni forca! la settima, come certifica il suo (primo) biografo in italiano, il giovane anglista Luca Fumagalli.
Una biografia molto documentata, che inserisce la vicenda esistenziale e culturale di Benson nel quadro più ampio del Regno Unito del tempo, ovvero gli spinosi ma anche fecondi rapporti tra anglicani e cattolici. Fumagalli si sofferma sulla genesi e il retroterra di quei libri apologetici, tutti romanzi storici, che Benson vergava sulla spinta dell’adesione alla fede cattolica, lui ultimo figlio dell’arcivescovo di Canterbury, primate anglicano.
Sono numerose le scoperte sull’autore amato dagli ultimi due pontefici: sia Ratzinger (da cardinale) che Bergoglio (da arcivescovo e pure da papa) hanno dichiarato di aver letto in maniera appassionata Il padrone del mondo. Un libro – molto lodato per il suo tratto profetico anche dal filosofo Augusto Del Noce – che fece esplodere la notorietà dell’autore: Benson fu protagonista di 3 viaggi negli Stati Uniti per conferenze dove brillava come sagace oratore. In Italia i suoi testi, tradotti in almeno 10 lingue, arrivarono già negli anni Venti. «Quasi ogni famiglia cattolica in Inghilterra aveva almeno un libro di Benson» annota Fumagalli.
Nel saggio vengono messi in evidenza diversi legami culturali di Benson, che per un certo tempo fu amico e collaboratore letterario dello scrittore Frederick Rolfe, famoso per il suo Adriano VII (di recente ristampato da Neri Pozza). Benson collaborò con Rolfe per un libro su Tommaso Becket, progetto che però fece venire a galla la diversità incolmabile tra i due: tanto rigoroso e ricco di dirittura morale Benson, soprattutto dopo il sacerdozio ricevuto a Roma nel 1903 (il suo ingresso nel cattolicesimo risaliva al 1902), quanto bohémien e polemico Rolfe.
Ma sono numerosi gli incontri intellettuali di prestigio che Benson intesse nella sua breve vita. Il suo cammino verso il cattolicesimo riceve un impulso decisivo dagli scambi epistolari con padre Vincent McNabb, domenicano irlandese che predicava ogni domenica nei giardini londinesi di Hyde Park (Chesterton lo definì «il più grande uomo in assoluto nell’Inghilterra del nostro tempo»); McNabb aiutò Benson a chiarire il valore dell’infallibilità papale, principale scoglio di incomprensione tra cattolici e anglicani. Anche uno scrittore come Hilaire Belloc spese parole di estrema stima per Benson: «Mi è incredibilmente piaciuto. Ho trovato il suo lavoro di storico davvero unico».
Nel 1904 a Roma ecco poi due incontri quanto mai diversi: il 24 giugno l’udienza privata con Pio X, con un aneddoto curioso: «Il Papa si tolse lo zucchetto, prese quello di Hugh, e li scambiò. Hugh si abbassò per la benedizione, il copricapo cadde, entrambi tentarono di raccoglierlo e sbatterono le teste»... Sempre nella Capitale Benson ebbe un faccia a faccia pure con Romolo Murri, il sacerdote-politico marchigiano che sarà poi sospeso a divinis; i due si incontrano «a tarda notte, nascosti da grandi cappelli e lunghi mantelli, per non dare nell’occhio e non suscitare eccessivi mormorii nel mondo dell’intransigentismo romano».
«Avvenire» del 10 ottobre 2014

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