29 settembre 2015

Rifugiati, che fine ha fatto la solidarietà internazionale?

Le misure e l’approccio corretti per affrontare la crisi migratoria
di Michael Moller *
Mentre il flusso di rifugiati continua inarrestabile, è confortante vedere che la nostra umanità sta finalmente dando segnali di vita grazie alla generosità dei cittadini tedeschi, serbi, austriaci, greci, italiani e di altri Paesi europei, sulla scia dell’esempio virtuoso fornito da Libano, Giordania, Egitto e Turchia. I leader politici si sono finalmente convinti a dare ascolto agli appelli dei propri elettori e stanno mettendo in discussione il credito dato finora alla voce dei movimenti anti-immigrazione. Il tono negativo che ha caratterizzato per lungo tempo le storie di rifugiati e i racconti sull’immigrazione sta cedendo il passo alla realtà dei fatti: i Paesi che forniscono accoglienza a queste persone, come pure i Paesi d’origine di questi ultimi, ricavano evidenti vantaggi economici e sociali da tali spostamenti.
Senza contare che la maggior parte dei Paesi europei e altre economie avanzate fanno affidamento sull’immigrazione per far fronte alle richieste di forza lavoro, ora e per il futuro. Questo è positivo. Ma non è abbastanza. È necessario il contributo di tutti gli Stati.
Per la ricerca di una necessaria soluzione internazionale, possiamo appellarci alla nostra memoria istituzionale collettiva. Non è certo la prima volta che fronteggiamo un esodo di tale entità. Ricordate i
boat people vietnamiti degli anni Ottanta? In migliaia presero la via del mare per raggiungere i Paesi limitrofi e, da lì, salpare poi per Stati Uniti, Canada e altrove. In migliaia morirono, i trafficanti di esseri umani fecero fortuna a loro spese e i Paesi di primo asilo sigillarono i propri confini. Il problema sembrava non avere soluzione.
Finché l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) elaborò un Piano di azione globale, approvato da una conferenza internazionale nel 1989. La conferenza riuscì a raccogliere la comunità internazionale attorno ad un processo strutturato che distingueva tra richiedenti asilo e migranti economici, definendo le procedure per il reinsediamento dei rifugiati e il rimpatrio dei migranti non considerati rifugiati. Un buon esempio di come sia possibile ottenere risultati quando ci siano volontà e mezzi per fornire protezione e assistenza con umanità e dignità. Perché questo esempio possa dare i suoi frutti anche ai nostri giorni, è necessario: – allestire centri di prima accoglienza e di identificazione in Paesi di transito come Turchia, Grecia, Italia, eventualmente la Tunisia (la Libia qualora le condizioni lo consentano).
Sarà compito dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Acnur) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) occuparsi di gestire i rifugiati/migranti, vigilare sulla corretta applicazione di procedure concordate per il riconoscimento dello status di rifugiato, il reinsediamento o il rimpatrio dei migranti, assicurando loro la necessaria assistenza; – potenziare la capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo; – coordinare efficaci programmi per la cattura dei trafficanti; – negoziare accordi con i Paesi d’origine di coloro che vengono identificati come migranti economici per garantire loro un rientro in patria senza rischi, potendo contare sull’accettazione da parte dei propri connazionali e di un sostegno alla reintegrazione; – finanziare tali misure su scala globale e assistere i principali Paesi di accoglienza quali Libano, Giordania, Turchia e Grecia, erogando inoltre fondi per lo sviluppo nei Paesi d’origine dei rifugiati/migranti; – condurre campagne d’informazione rivolte ai potenziali rifugiati e migranti economici, illustrando le procedure previste e i rischi che comporta intraprendere il viaggio; – contrastare l’attuale narrativa negativa basata su fatti economici e sociali nei Paesi di destinazione, attuali e potenziali.
Se eseguite nella maniera corretta, queste azioni potrebbero dimostrare che interessi, umanità e solidarietà internazionale possono essere ancora combinati in una soluzione vantaggiosa per tutti. Tuttavia questo affronterebbe solo il picco attuale e temporaneo. Occorre occuparsi della tendenza migratoria molto più ampia e a lungo termine. A livello operativo, le agenzie incaricate delle questioni di asilo e immigrazione sono sommerse di lavoro e sottofinanziate. Sul piano politico, oltre al Forum globale su migrazione e sviluppo scarsamente organizzato, non esiste una struttura formale internazionale che fornisca politiche alternative per futuri flussi di vittime di disastri causati dall’uomo o naturali (i.e. legati al clima), che definiranno entrambi la nostra quotidianità nel prossimo futuro. In mancanza di una tale organizzazione, occorre affidare a Peter Sutherland, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per la migrazione e lo sviluppo, il mandato e i mezzi necessari per catalizzare l’azione necessaria.
Un modo per iniziare il processo potrebbe essere decidere su una maggiore integrazione del lavoro dell’Acnur e dell’Oim, permettendo loro di proporre nuove politiche globali di lungo periodo. Il Vertice umanitario che si terrà a Istanbul l’anno prossimo, l’incontro indetto da Ban Ki-moon a New York a settembre, e quello della Valletta a novembre tra i Capi di Stato di Europa e Africa sono opportunità per fare progressi. Dobbiamo seriamente riconsiderare la relazione tra aiuto allo sviluppo e assistenza umanitaria, con un sostegno che affronti all’origine le cause dei problemi umanitari. L’Alto Commissario per i rifugiati Guterres è un sostenitore instancabile di questa tesi, e ha bisogno del nostro sostegno. Infine, va sfruttato al meglio il quadro politico che il mondo sta adottando quest’anno: gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, l’accordo sul clima e quello sulla riduzione del rischio delle catastrofi. Se riusciamo a dare attuazione con successo ai diciassette Obiettivi ci sarà un’opportunità infinitamente migliore di far fronte a flussi futuri. Ognuno di noi un giorno potrà avere bisogno di un rifugio.
Empatia, generosità e politiche efficaci oggi, miglioreranno di molto le possibilità di poter applicare le stesse alle calamità del domani.

* Capo dell’Ufficio Onu di Ginevra
«Avvenire» del 26 settembre 2015

Nessun commento: